Università Cattolica del Sacro Cuore

Le tre strade per la ripartenza

di Carlo Cottarelli

La Repubblica, 23 giugno 2020

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Come previsto, si sta preparando un’inevitabile terza manovra in deficit, dopo il Cura Italia di marzo e il Decreto Rilancio di maggio. Inevitabile perché, come avevo scritto in passato, i precedenti decreti non estendevano sufficientemente nel tempo le reti di protezione per le famiglie e perché contenevano poche vere misure di “rilancio”: quattro quinti del decreto con tale nome consistevano di misure “difensive”, che reintegravano parte della perdita di reddito subita da famiglie e imprese a causa della crisi, ma che non stimolavano effettivamente la spesa. Ora il governo sta pensando a un’azione di stimolo. Quale è il miglior modo di spendere risorse che non sono certo infinite? Sì, perché, anche se i finanziamenti all’Italia, grazie all’azione della BCE e delle istituzioni europee, quest’anno e il prossimo non mancano (per ora), non sono comunque senza limiti. Il deficit pubblico quest’anno salirà ben oltre quanto indicato nel Documento di Economia e Finanza di aprile (10,4 per cento del PIL) e il debito pubblico raggiungerà il 160 per cento del PIL. Occorre quindi scegliere bene tra i diversi modi di utilizzare risorse che saranno comunque limitate. Naturalmente, le proposte da parte di politici e gruppi di pressione non mancano. L’ultima è un taglio dell’IVA. È una buona idea? Quali sono le alternative?

Misure espansive per compensare il crollo della domanda dovrebbero avere tre caratteristiche. Primo, non dovrebbero comportare un aumento permanente del deficit: le risorse messe a disposizione dall’Europa non dureranno per sempre. Secondo, dovrebbero avere il più forte impatto possibile sulla domanda, il più alto “moltiplicatore” come si dice in gergo. Terzo, dovrebbero essere realizzabili in tempi brevi: serve un immediato sostegno all’economia. Questi sono i parametri per valutare le tre principali possibilità di intervento.

La prima è un taglio del cuneo fiscale (le tasse sul lavoro pagate da lavoratori e imprese) o, comunque, dell’IRPEF. Da anni ripeto che il cuneo fiscale deve essere ridotto: è più alto della media europea e penalizza la nostra competitività. Inoltre, la misura può essere realizzata rapidamente. Ma ci sono due problemi. Il principale è che se anche il taglio del cuneo fiscale andasse in busta paga, aumentando il reddito disponibile delle famiglie, non è affatto detto che questo si traduca in un aumento dei consumi: in una situazione di enorme incertezza come quella che stiamo attraversando, una parte verrebbe probabilmente risparmiata, forse anche a redditi medio-bassi. Il secondo problema è che, politicamente, sarebbe difficile tagliare l’IRPEF solo temporaneamente. Qui, come ho detto, stiamo invece cercando misure temporanee.

La seconda possibilità è il sopracitato taglio dell’IVA, deciso anche in Germania. Anche questo può essere realizzato rapidamente. Inoltre, se fosse traslato sui prezzi, avrebbe un chiaro vantaggio rispetto al taglio del cuneo fiscale: il calo dei prezzi stimolerebbe i consumi. Anche qui però ci sono margini di incertezza. La distribuzione al dettaglio passerebbe davvero il taglio dell’IVA sui prezzi, con la necessità di rivedere i listini prezzi, i menu dei ristoranti, eccetera? E, sempre in una situazione di grande incertezza, le famiglie aumenterebbero molto i consumi di fronte a un calo dei prezzi? Per avere un effetto apprezzabile il taglio dell’IVA dovrebbe essere molto “visibile”, diversi punti percentuali e ricordiamo che un taglio di un solo punto dell’aliquota ordinaria dell’IVA costa 4,3 miliardi. Una possibilità, sarebbe quella di avere tagli selettivi, per i settori più colpiti come il turismo, in modo da poter apportare tagli più “visibili”. Ma questo causerebbe sicure lamentele da parte dei settori esclusi. Anche in questo caso, poi, ci sarebbe la difficoltà politica di riportare l’IVA al suo livello corrente, per la paura che questo possa portare a un crollo dei consumi. In effetti siamo stati bravissimi nel neutralizzare le passate clausole di salvaguardia che prevedevano proprio aumenti automatici dell’IVA.

La terza possibilità è una spesa diretta da parte dello stato per infrastrutture e acquisti di beni durevoli (per la scuola, per la sanità). Il grande vantaggio di questi interventi è di avere un impatto certo sulla domanda: le risorse verrebbero spese, non risparmiate. Inoltre, sarebbe spesa utile. C’è un estremo bisogno di investimenti pubblici e non solo di grandi opere: c’è una marea di piccole opere di ristrutturazione, manutenzione, miglioramento ecologico su cui si dovrebbe intervenire in modo prioritario. Un altro vantaggio è che i benefici di queste spese si estenderebbero nel tempo: non sarebbero solo consumi immediati. Il problema è uno solo: la lentezza con cui la pubblica amministrazione solitamente si muove quando deve spendere direttamente, soprattutto per investimenti.

E quindi? La cosa migliore sarebbe puntare su un’accelerazione degli investimenti pubblici e altra spesa diretta da parte della pubblica amministrazione, perché questo avrebbe un impatto più sicuro sulla domanda. A questo fine la semplificazione burocratica è essenziale. Se si riconoscesse l’impossibilità di un’accelerazione, cosa deprecabile ma la realtà è quella che è, allora un taglio dell’IVA sarebbe probabilmente preferibile a un taglio del cuneo fiscale (pur necessario nel medio termine) a condizione che fosse sufficientemente ampio e che ci fosse almeno un accordo con le rappresentanze del commercio per incoraggiare il passaggio sui prezzi del taglio dell’IVA, cosa che, come ho detto, non si può dare per scontato.

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