Le priorità della spesa pubblica
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 12 marzo 2020
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Il governo richiederà al Parlamento di stanziare 25 miliardi per fronteggiare le conseguenze mediche ed economiche del coronavirus. Ha fatto bene. È nei momenti di crisi che occorre aumentare il deficit pubblico. Certo, occorrerebbe ridurlo nei periodi relativamente buoni e non l’abbiamo fatto. Certo, potremmo affrontare questa crisi più facilmente se avessimo un debito pubblico più basso. Ma inutile ora recriminare. Occorre intervenire comunque di fronte all’emergenza avendo a mente due cose. La prima è di spendere nel modo migliore possibile. La seconda è quella di trovare fonti di finanziamento che minimizzino i rischi di una reazione negativa dei mercati finanziari. In questo articolo parlo soprattutto del primo tema, anche se aggiungerò alla fine qualche considerazione sul secondo.
Allora, come spendere al meglio 25 miliardi? La priorità è ovviamente la spesa sanitaria: servono più medici e infermieri e maggiori stanziamenti per prodotti sanitari. Questi interventi avranno, in parte, una natura strutturale (non è certo possibile assumere temporaneamente nuovi medici). Un aumento strutturale della spesa sanitaria può essere però giustificato perché, negli ultimi anni, la nostra spesa sanitaria, un settore strategico anche per garantire l’uguaglianza di opportunità per i cittadini italiani, è scesa in modo consistente rispetto alla dimensione dell’economia (siamo al 6,5 per cento, tre punti percentuali al di sotto di Germania e Francia).
Al di fuori del settore sanitario occorre invece puntare a interventi di sostegno all’economia che siano di natura temporanea, che servano a superare l’emergenza, ma che non aumentino in modo permanente il nostro deficit pubblico. Se così non fosse il problema di trovare fonti di finanziamento senza rischiare troppo sul lato della sostenibilità del nostro debito pubblico diventerebbe più acuto. Insomma, chi ci finanzia potrebbe accettare un aumento temporaneo del deficit, ma più difficilmente ne accetterebbe un aumento permanente. Ciò non significa che l’intervento debba durare solo pochi mesi. Purtroppo la durata dell’intervento dipenderà da quanto prolungata sarà la crisi. Ma sarebbe sbagliato approfittare di questa crisi per interventi che creano deficit strutturali (per esempio un taglio permanente delle tasse o un abbassamento permanente dell’età di pensionamento).
Quindi la prima caratteristica degli interventi deve essere la flessibilità. In quest’area rientrano senz’altro gli interventi, invocati tra gli altri da Carlo Calenda, per evitare un “attacco cardiaco” alle nostre imprese dovuto a mancanza di liquidità, inclusa una possibile temporanea riduzione (non un semplice posticipo) di versamenti di tasse e contributi dovuti dalle imprese. Al di fuori della finanza pubblica, rientrano in quest’area anche misure che evitino alle imprese di dover rimborsare troppo rapidamente prestiti ricevuti da istituti finanziari. Questo richiederebbe anche l’attenuazione della prociclicità delle norme di regolamentazione bancaria relative, per esempio, ai prestiti in sofferenza.
La seconda fondamentale caratteristica degli interventi deve essere quella di massimizzare l’impatto sulla domanda di beni e servizi. Una crisi partita da uno shock “di offerta” (la catena della produzione spezzata per la chiusura di impianti) causa di solito anche un crollo della domanda, incluso attraverso l’incertezza che essa crea. Servono quindi misure “ad alto moltiplicatore”, come diciamo noi economisti. In una situazione di forte incertezza mettere in tasca soldi agli italiani (con un taglio di tasse o un aumento dei trasferimenti) potrebbe non aver un grande effetto sulla domanda perché le maggiori risorse disponibili potrebbero essere risparmiate e non spese. Da questo punto di vista un aumento temporaneo della spesa pubblica per acquisti da parte della pubblica amministrazione avrebbe maggior effetto. Ma quale spesa? Il candidato principale è la spesa per investimenti pubblici, per due motivi. Primo, perché abbiamo carenza di infrastrutture. Secondo, perché le stime disponibili ci dicono che l’impatto della spesa per investimenti sulla domanda è piuttosto forte. C’è un problema, però. L’intervento deve essere rapido e noi non siamo particolarmente famosi per la rapidità nei nostri investimenti pubblici. È quindi fondamentale approfittare di questa occasione per allentare i vincoli burocratici all’investimento pubblico, a partire da quelli che riguardano i cantieri bloccati. Il modello del ponte di Genova è quello giusto anche se è fondamentale assegnare la guida nella gestione delle opere a persone di grande capacità e affidabilità (non possiamo dimenticare che senza una persona valida come il sindaco Bucci, sarebbe stato difficile muoversi speditamente come è stato nel caso del ponte di Genova).
Due parole conclusive sul lato dei finanziamenti. Da chi devono venire i sopracitati 25 miliardi? La cosa migliore sarebbe se provenissero dall’emissione di debito europeo e non di debito italiano, già molto alto. L’intera Europa dovrà fronteggiare l’emergenza medica ed economica del coronavirus. Non sarebbe questo il momento di dar prova della capacità di muoversi insieme con un’emissione di eurobond, cioè di titoli emessi da un’istituzione europea? Se un’emissione di eurobond non fosse possibile, sarebbe necessario emettere debito italiano. L’Unione Europea dovrebbe reiterare che, vista la natura straordinaria dell’intervento reso necessario da sviluppi esogeni e in presenza del rischio di una probabile recessione europea, un aumento del deficit, anche oltre il 3 per cento del Pil, sarebbe in linea con le regole europee. Certo, il giudizio finale dipenderebbe dai mercati finanziari. Ma per ora i mercati dei titoli di stato hanno reagito in modo misurato: il tasso di interesse sui BTP decennali, pur in aumento, è ancora basso (1,3 per cento). Un rafforzamento degli acquisti di titoli da parte della BCE potrebbe rassicurare ulteriormente i mercati. Infine, sarebbe utile se, appena stabilizzata la situazione sanitaria, il governo desse prova di saper portare avanti quelle riforme che sono necessarie ad aumentare la capacità di crescita del nostro paese, una condizione essenziale per mantenere la sostenibilità del nostro debito pubblico.