Lavoro, ridurre le tasse è utile ma non risolve i nodi dell’economia
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 19 gennaio 2020
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Governo e sindacati hanno raggiunto un accordo su come realizzare il taglio del cuneo fiscale (cioè le tasse e i contributi sociali) per il quale la legge di bilancio per il 2020 ha stanziato 3 miliardi per quest’anno e 5 miliardi per il 2021, quando andrà a regime sui 12 mesi. I dettagli del provvedimento saranno contenuti in un decreto legge, ma si sa che il taglio beneficerà i redditi da lavoro fino a 40.000 euro, quindi relativamente bassi, anche se la platea è più ampia di quella che aveva beneficiato degli “80 euro di Renzi”. È un buon provvedimento? Ci sono alcuni aspetti positivi, altri meno.
L’idea di ridurre il cuneo fiscale trova una sua giustificazione in un fatto concreto: il cuneo fiscale è più elevato in Italia che nella maggior parte degli altri paesi dell’euro, il che penalizza il lavoro italiano, compreso la nostra capacità di esportare. L’importo del taglio, anche a regime, non è sufficiente a portarci sulla media europea. Per quello servirebbe molto di più. Ma è un passo in avanti, dopo quello compiuto con gli 80 euro.
Il governo ha deciso che a beneficiare di questo taglio siano i lavoratori a reddito relativamente basso. Occorre però notare che il governo può decidere di tagliare le tasse, ma come poi questo taglio benefici in pratica i vari operatori economici lo decide la contrattazione tra imprese e lavoratori. Se al prossimo rinnovo contrattuale gli aumenti salariali saranno più bassi per i lavoratori a reddito basso perché «tanto hanno già beneficiato del taglio delle tasse» allora il beneficio del taglio andrà anche ad altri, magari alle stesse imprese. Ciò detto, almeno inizialmente saranno i lavoratori a reddito più basso a beneficiare del taglio. Prendere misure a favore di chi ha un reddito più basso è naturale per un governo orientato a sinistra (nella versione “popolare” o “populista”). Se tali misure, che comportano una redistribuzione relativa del carico fiscale e del reddito, siano appropriate è una questione più politica che economica (per i livelli di redistribuzione del reddito di cui stiamo parlando), anche se non si può non notare che il periodo successivo alla crisi globale del 2008-09 non ha visto nel nostro paese un marcato peggioramento della distribuzione del reddito tale da giustificare un’azione mirata specificatamente in questo senso, rispetto a un taglio generalizzato della tassazione. Fra l’altro, i dati dell’OCSE ci mostrano che il cuneo fiscale è invece particolarmente alto in Italia per i lavoratori a reddito medio e alto, più che per i lavoratori a reddito basso, in particolare se questi non hanno familiari a carico. Il che avrebbe suggerito almeno di ripartire il taglio del cuneo fiscale su tutti i lavoratori. Ma, viste le limitate risorse disponibili, una platea più ampia avrebbe comportato tagli che sarebbero apparsi troppo modesti per ogni lavoratore.
Quali sono gli effetti sulla crescita di questo provvedimento? Di per sé l’effetto è positivo sia dal punto di vista della domanda (più soldi in tasca agli italiani), sia di quello dell’offerta (meno tassazione del lavoro significa maggiori incentivi a lavorare e più competitività). Ma il provvedimento deve essere visto nel complesso della legge di bilancio che, almeno dal punto di vista della domanda, non è espansiva. Il deficit pubblico nel 2020 resta sui livelli del 2019 (non si mettono “più soldi in tasca agli italiani”). Non credo proprio che si potesse fare diversamente visti i limitatissimi spazi di bilancio imposti dal nostro debito pubblico: purtroppo, siamo ancora considerati tra i paesi più a rischio in Europa, con uno spread da tempo più alto di quello di Spagna e Portogallo (siamo sui livelli della Grecia). Ma resta il fatto che non è dal bilancio del 2020 che ci possiamo aspettare più crescita.
È anche da considerare che, se la tassazione sul lavoro scende un po’, la pressione fiscale nel 2020 resta più o meno invariata al 42 per cento. Quindi, anche in questo caso, c’è una redistribuzione del livello di tassazione, non una riduzione. Tale redistribuzione potrà anche essere giusta nella misura in cui si riuscirà effettivamente a incassare 3 miliardi dalla riduzione dell’evasione fiscale, ma resta pur sempre una redistribuzione, quando invece, a mio giudizio, sarebbe opportuno un calo della pressione fiscale complessiva (finanziata con risparmi sulla spesa pubblica non prioritaria) se davvero vogliamo migliorare la nostra posizione competitiva rispetto al resto dell’Europa.
Un ultimo problema: le coperture per finanziare il taglio del cuneo fiscale sono identificate per quest’anno, ma non per il 2021. Formalmente il taglio del cuneo è coperto, come tante altre cose, dalle celebri clausole di salvaguardia (cioè gli aumenti di Iva e accise che, fra l’altro, in sede di approvazione della legge di bilancio, sono state aumentate rispetto alla proposta iniziale del governo): si tratta di 20 miliardi da trovare per il prossimo anno. E non sarà per niente facile a meno di non beneficiare, come per quest’anno, di un ulteriore calo dei tassi di interesse, cosa di cui per ora non c’è segno.
In conclusione, il taglio del cuneo fiscale di per sé è utile, ma non è certo una mossa risolutiva per l’economia italiana. Ben più importante, per esempio, sarebbe una radicale riforma della giustizia civile che riducesse drasticamente i tempi dei processi che durano ora circa quattro volte tanto di quanto durano in Germania e Spagna. Si parla invece poco della riforma presentata dal ministro Bonafede (a parte la questione della prescrizione). L’ho scorsa e temo che non sia abbastanza coraggiosa. Ma di questo vi parlo un’altra volta.