La scommessa dei conti pubblici
di Carlo Cottarelli
La Repubblica, 20 aprile 2021
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A prima vista la strategia di bilancio contenuta nel recente Documento di Economia e Finanza (DEF) non si discosta molto da quanto abbiamo visto in passato. Il sentiero del deficit pubblico è rivisto al rialzo, la spesa pubblica aumenta, il debito, si dice, sarà ridotto attraverso la crescita economica, l’unica strada percorribile. Semmai, la differenza sta negli importi. Se il governo Conte aveva adottato la stessa strategia (vedi DEF dell’anno scorso), il nuovo DEF rilancia con altre decine di miliardi di investimenti pubblici. Ma non ci si può fermare alla prima impressione. Ci sono motivi per pensare che la strategia del governo Draghi possa essere valida, visti alcuni importanti mutamenti del contesto economico/politico rispetto al passato.
Almeno tre cose sono cambiate. Primo lo shock economico è senza precedenti e comporta la necessità di prendersi maggiori rischi rispetto all’obiettivo di riduzione del debito. Secondo, i tassi di interesse a cui il governo italiano di indebita sono incredibilmente bassi: non solo i tassi di interesse di mercato (a dieci anni) sono al livello più basso dall’unità d’Italia, ma tutto l’aumento del debito nel 2020-21 (e buona parte nel 2022) sarà finanziato dalle istituzioni europee a tassi zero o negativi. Terzo, abbiamo una squadra di governo che probabilmente sa spendere bene, per favorire la crescita. Il debito è quindi necessario, leggero e buono.
Non si può però non vedere che il successo di questa strategia resta esposto a rischi significativi. Per cominciare, nelle stesse previsioni del governo il rapporto tra debito pubblico e Pil scende solo lentamente: anche ipotizzando tassi di crescita elevati rispetto alla nostra esperienza recente, il rapporto tornerebbe a livelli pre-Covid solo fra una decina d’anni. Questo significa che resteremo esposti al rischio di nuovi shock economici, incluso un aumento dei tassi di interesse di mercato, per un periodo prolungato. Uno scenario che certo non può essere scartato è quello in cui, sulla spinta di una più rapida ripresa del Nord Europa, l’inflazione europea aumenti e la BCE sia costretta ad aumentare i tassi di interesse e, forse, a riassorbire la liquidità creata nel periodo Covid non rinnovando i titoli di stato (anche italiani) in scadenza. Ricordiamoci, in proposito, che i paesi del Nord, che hanno affrontato la crisi Covid con aumenti del debito del tutto contenuti, potrebbero vedere di buon occhio un aumento, anche consistente, dei tassi di interesse per frenare l’inflazione. Per noi sarebbe un guaio. La stessa solidarietà che ora esiste in Europa potrebbe non reggere in un tale scenario.
Ci sono altri rischi. Una strategia di riduzione del debito basata sulla crescita richiede che la crescita si materializzi. Gli investimenti pubblici che sono in programma dovranno essere “buoni”. Ma gli interventi programmati sono stati sottoposti a qualche analisi costi-benefici? E le riforme che dovremmo trovare nel PNRR (il “Recovery plan”) saranno effettivamente realizzate? Draghi è una garanzia in proposito. Ma quanto durerà il governo Draghi? Sarebbe auspicabile che durasse fino alla naturale scadenza di questa legislatura, ma di mezzo ci sono le elezioni presidenziali. Sarà superato l’ostacolo? Andiamo avanti: se anche la crescita prevista dal governo si realizzasse, riassorbire il debito attraverso la crescita richiede di resistere alla tentazione di andare a spendere le maggiori entrate che derivano dalla crescita stessa. Se ciò non avvenisse il rientro dal debito sarebbe ancora più lento di quello ora contemplato. Riusciranno l’attuale governo e quelli che succederanno nei prossimi anni a resistere a tale tentazione? Tanto per cominciare, cosa accadrà in autunno quando si dovrà risolvere la questione dello “scalone pensionistico” causato dal venir meno di “quota 100”? E quanto costerà la riforma fiscale cui anche il DEF accenna?
Concludo. Il punto non è se per ridurre il deficit ci voglia più crescita, su questo siamo tutti d’accordo, come siamo d’accordo sul fatto che le riforme che il governo si appresta a varare (pubblica amministrazione, giustizia, fisco, concorrenza) siano essenziali. Il punto è se i benefici di una maggiore spesa pubblica, ancora più elevata di quella prevista dal governo precedente, siano giustificati. Sotto certe condizioni può essere vero. E’ un rischio, come per le riaperture, “calcolato” e solo il tempo dirà se il calcolo è stato valido.