Università Cattolica del Sacro Cuore

La crescita e l’incognita dei tassi: il futuro del debito in mano alla Bce

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 7 ottobre 2020

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Domenica sera il Consiglio dei Ministri ha approvato la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef). La Nadef definisce, nei suoi aggregati principali, gli sviluppi di finanza pubblica per i prossimi tre anni (deficit, debito pubblico, pressione fiscale, eccetera) e ne descrive gli effetti previsti sulla nostra economia. Cosa pensa che accadrà il governo? E che rischi ci sono?

I governi tendono spesso a fare previsioni troppo rosee e, in ultima analisi, poco credibili. In questo caso le previsioni del governo sono invece ragionevoli. Il Pil reale è stimato cadere del 9 per cento quest’anno. Questo è meno di quanto prevedevano FMI, OCSE, BCE e altri solo qualche mese fa, ma le tendenze più recenti sembrano dar ragione al governo. Nel 2021 il governo pensa che il Pil crescerà del 6 per cento. Anche questo è plausibile alla luce del rimbalzo in corso dopo la fine del lockdown. Un chiarimento però: come riconosciuto dalla Nadef, questo scenario assume che non ci sia un nuovo pesante lockdown. Allora si entrerebbe in un altro scenario, ben peggiore.

La ripresa della nostra economia dovrebbe beneficiare di una continua azione di supporto da parte delle finanze pubbliche. Il deficit pubblico, che sfiorerà l’11 per cento nel 2020, è previsto rimanere elevato (al 7 per cento) anche il prossimo anno. Ricordo che il deficit è la differenza tra spesa pubblica e entrate dello stato e, quindi, misura i soldi netti che lo stato mette nell’economia. Il deficit però non comprende le risorse che arrivano dall’Europa a fondo perduto (quindi senza fare debito), circa 15 miliardi nel 2021 tramite il Recovery Fund. Tenendo conto di questi, il supporto all’economia sale al 7,8 per cento del Pil. Mi sembra un valore adeguato alle necessità. Su queste colonne a inizio agosto avevo indicato che, se si voleva mantenere lo stesso grado di sostegno all’economia che si era dato nel 2020 (tenendo però conto della ripresa in corso e quindi del minor bisogno di sostegno), le risorse stanziate dovevano essere pari al 7,5 per cento del Pil. Mi sembra che il governo mi abbia ascoltato!

Tutto a posto dunque? Non proprio. Il deficit pubblico resterà su livelli abbastanza elevati per parecchi anni. Nel 2019 il deficit era dell’1,6 per cento del Pil. Non si tornerà a quel livello neppure nel 2023, quando il deficit è previsto essere ancora al 3 per cento. Questo nonostante il pieno recupero del Pil che, in termini reali, dovrebbe tornare a livello del 2019 verso fine 2022. E questo nonostante altri 65 miliardi che, oltre ai 15 previsti per il 2021, dovrebbero arrivare, fuori bilancio e a fondo perduto, sempre dal Recovery Fund. Insomma, è chiaro che contiamo sul fatto che, anche al di là dell’emergenza immediata, la nostra possibilità di fare debito sia molto più alta che in passato.

Già, il debito pubblico. Il rimbalzo della nostra economia a partire dal 2021 ridurrebbe il rapporto tra debito pubblico e Pil dal picco del 158 per cento di fine 2020 (il valore più alto dall’unità d’Italia), ma la discesa sarebbe lenta: nel 2023 saremmo ancora vicino al 152 per cento, contro il 135 per cento del 2019. Quanto ci dobbiamo preoccupare? Abbastanza, anche se i rischi non sono immediati. Un fatto positivo è che l’aumento del debito dopo il 2019 è quasi tutto nei confronti delle istituzioni europee (tra queste metto la Banca d’Italia che fa parte del sistema europeo di banche centrali). Queste istituzioni già a fine 2021 deterranno quasi il 30 per cento del nostro debito. L’Europa ci presta a tassi di interesse pari a zero, o addirittura negativi. E il debito verso l’Europa non è volatile come quello nei confronti dei mercati finanziari. Ma qualche rischio resta. Nel breve periodo, diciamo per tutto il prossimo anno, i soldi europei continueranno a fluire. Ma poi? Un rischio riguarda il comportamento della BCE. Finché l’inflazione è bassa la BCE continuerà a pompare euro nell’economia, e per farlo comprerà titoli di stato. Ma se l’inflazione dovesse aumentare (non ora perché non ci sono le condizioni, ma fra qualche anno), la BCE dovrebbe stringere i cordoni della borsa, facendo aumentare i tassi di interesse sul nostro debito. Un secondo rischio è di natura politica. Al momento predomina in Europa un sentimento di solidarietà. Quanto durerà? Come potrebbe quel sentimento essere scosso da cambiamenti politici, per esempio dall’arrivo di governi sovranisti in qualche grande paese europeo? Insomma, se il rischio verso i mercati finanziari si è ridotto, quello politico è aumentato. Da qui la necessità di utilizzare al meglio le risorse ora disponibili per aumentare al più presto la capacità di crescita di medio termine dell’Italia. Se il Pil crescerà stabilmente il problema del debito pubblico sarà meno pressante. Ci riusciremo?   

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