Università Cattolica del Sacro Cuore

L’Italia sostenga la proposta di Yellen: subito la tassa globale minima sui profitti

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 7 aprile 2021

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Janet Yellen, alla guida del ministero del Tesoro americano, durante il suo recente intervento al Chicago Council on Global Affairs ha indicato che gli Stati Uniti intendono discutere al prossimo incontro dei G20, che avrà luogo il 7-8 aprile sotto la presidenza italiana, la proposta di una tassa minima sui profitti delle società concordata a livello globale. L’Italia dovrebbe sostenere l’introduzione di tale tassa minima. Per capire perché occorre dare uno sguardo a quello che è successo negli ultimi decenni al livello medio di tassazione mondiale sui profitti delle società.

L’aliquota media di tassazione dei profitti delle società nei paesi OCSE era a metà degli anni ’80 intorno al 42 per cento. Attualmente è inferiore al 25 per cento. Perché questa discesa? Determinante è stata la concorrenza che i 200 paesi del mondo si sono fatti per attirare, attraverso una minore tassazione, imprese che erano diventate sempre più “mobili” a causa della globalizzazione. Questa maggiore mobilità nello spostare i profitti da un paese all’altro rifletteva in parte fenomeni di elusione fiscale (pratiche per far emergere, in modo fittizio, i profitti dove la tassazione era più bassa); in parte fenomeni reali, lo spostamento dell’attività produttiva dove le tasse erano più basse. Fatto sta che la concorrenza tra paesi nell’attirare profitti, fittizi o reali che fossero, si è concretizzata in un abbassamento dell’aliquota di tassazione sui profitti, uno degli ultimi passi in questa corsa al ribasso essendo stato il taglio operato da Trump a fine 2017 nell’aliquota di tassazione americana. Sottolineo: solo in parte questo fenomeno di riduzione delle aliquote di tassazione ha riguardato i cosiddetti “paradisi fiscali”. Tutti i paesi hanno partecipato a questa corsa al ribasso.

Capite bene che un fenomeno di questo tipo può essere contrastato solo attraverso un accordo internazionale. Già negli anni ’80 Vito Tanzi, all’epoca capo del dipartimento di finanza pubblica del Fondo Monetario Internazionale, sostenne che, a fronte di una sempre più intensa globalizzazione, era necessario creare una World Tax Organization per consentire un coordinamento delle politiche di tassazione dei diversi paesi. Io stesso, anni dopo alla guida dello stesso dipartimento, espressi il medesimo parere. Cosa è stato fatto in pratica nei decenni scorsi in quest’area? L’OCSE ha promosso vari accordi per combattere l’elusione fiscale. Ma nulla è stato fatto per rimuovere il problema all’origine, cioè per evitare che le aliquote di tassazione effettiva fossero troppo differenti tra paese a paese. Tuttavia, senza incidere su tali aliquote è difficile ridurre in modo significativo il problema della riallocazione dei profitti verso paesi a tassazione più bassa. Primo perché, se le aliquote sono molto diverse, l’elusione, pur contrastata, resta comunque vantaggiosa. Secondo perché, le attività economiche, anche in assenza di elusione, tenderanno effettivamente a spostarsi dove le tasse sono più basse. Occorre, quindi, rimuovere il problema alla fonte, cosa che la proposta di Yellen intende fare con una tassazione minima (si parla del 28 per cento).

Naturalmente non si tratta di una proposta di facile attuazione. Ci sono innanzitutto problemi tecnici non irrilevanti. Non è certo sufficiente armonizzare l’aliquota di tassazione. Occorre armonizzare anche la base imponibile, cioè da come sono definiti i profitti soggetti a tassazione. In effetti molti benefici per le società derivano dall’esclusione di certe voci dalla base imponibile piuttosto che da aliquote più basse. E le normative sulla definizione della base imponibile sono piuttosto complesse e risentono del più generale assetto fiscale dei vari paesi.

Ma le principali obiezioni sono di tipo politico, soprattutto da parte dei paesi che attualmente praticano politiche di tassazione più aggressiva. Inoltre, una proposta di tassazione minima solleverà molte obiezioni anche a livello di principi economici generali. La concorrenza fiscale tra i vari paesi è vista da molti come un fenomeno positivo: premierebbe infatti quei paesi che sono in grado di gestire meglio la propria spesa pubblica evitando gli sprechi. Meno spesa uguale meno tasse. In realtà, nella maggior parte dei casi la minore tassazione non riflette una maggiore oculatezza nella gestione della spesa, ma, semplicemente, il vantaggio comparato che paesi relativamente piccoli hanno nel ridurre le proprie tasse: in quanto piccoli, tale riduzione causa una piccola perdita di gettito dalle imprese già residenti rispetto all’aumento di gettito che si registra attirando imprese dal resto del mondo. È questo il vantaggio dei piccoli stati isola o, anche, di paesi relativamente più piccoli come Lussemburgo, Olanda e Irlanda all’interno dell’unione europea. C’è, infine, un altro argomento a favore della armonizzazione e riguarda il futuro della globalizzazione. Non c’è dubbio che la globalizzazione abbia portato vantaggi: l’autarchia non fa bene a nessuno. Ma occorre rendersi conto che la globalizzazione deve essere gestita per evitare che abbia effetti collaterali dannosi a molti. Agire per evitare che i profitti delle società, soprattutto quelle più grandi, siano detassati progressivamente riduce un pericoloso effetto collaterale della globalizzazione, rendendola in definitiva più accettabile.

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