L’Italia non abbia paura della riforma del Mes: può salvare le nostre banche se vanno in crisi
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 2 dicembre 2020
Qual è la rilevanza dell’accordo raggiunto all’eurogruppo lunedì scorso sulla riforma del MES? A parte la sostanza della questione, è utile rispondere a questa domanda perché in Italia (non altrove ma qui sì), tutto quello che riguarda il MES è politico… e confuso. Tanto che ieri la relazione al parlamento di Gualtieri su questo tema ha suscitato vivaci reazioni. Crimi ha detto che la riforma non gli piaceva, ma che i pentastellati non si sarebbero opposti. Ha però reiterato l’opposizione a una richiesta di accesso al prestito “sanitario” del MES. Berlusconi ha detto che era contro la riforma anche se favorisce il MES sanitario. La Lega ha ribadito la propria opposizione a entrambe le cose. C’è da farsi venire il mal di testa …
La prima cosa da capire è che la decisione presa dall’eurogruppo non ha nulla a che fare con quello di cui si è discusso negli ultimi mesi, ma ha a che fare con quello di cui, anche qui con toni politici molto accesi, si discuteva in autunno. Traduco: la decisione non ha riguardato i prestiti della linea “sanitaria” del MES creata in risposta alla crisi Covid (l’Italia potrebbe prendere a prestito 36 miliardi a tassi di interesse negativi sui 10 anni). Ha riguardato la riforma del MES “normale”, i prestiti che il MES erogherebbe se un paese avesse bisogno di fondi per fronteggiare una crisi non sanitaria e che potrebbero ammontare, per un paese delle dimensioni dell’Italia, non a qualche decina di miliardi ma a qualche centinaia di miliardi. Tutta un’altra cosa. E questi prestiti richiederebbero condizioni ben più pesanti di quelle legate al MES sanitario (che essenzialmente erano quelle di spendere bene i soldi per coprire i costi diretti e indiretti della crisi sanitaria). Sarebbero condizioni sul deficit pubblico, sul debito, eccetera eccetera.
In cosa consiste questa riforma del MES e perché è così controversa? La riforma dà un po’ più di voce in capitolo al MES stesso, organo più tecnico rispetto alla Commissione Europea, nel decidere se il debito pubblico di un paese sia “sostenibile” e se, quindi, si possa precedere a un prestito del MES senza ristrutturarlo (cioè senza cancellarlo in parte, con perdite per i detentori). Inoltre si rende un po’ più semplice il processo di ristrutturazione del debito (nel caso si sia appurata la sua non sostenibilità). Infine, si consente che le risorse del MES siano usate per integrare, se necessario, quelle del Fondo di Risoluzione Unico (il Single Resolution Fund), che interviene in sostegno delle banche europee in caso di crisi. Nell’autunno scorso Lega, Fratelli d’Italia e Cinque Stelle si erano opposti veementemente alla riforma, nonostante questa fosse già stata approvata in via preliminare ai tempi del governo gialloverde. La lettura degli oppositori era che la riforma rendeva più facile ristrutturare il debito italiano (il 70 per cento del quale è detenuto dagli italiani stessi) e che mettevano i soldi del MES a disposizione delle banche, compreso quelle tedesche notoriamente problematiche. Ergo, si tassavano gli italiani per aiutare le banche tedesche.
In realtà, la riforma, certo non perfetta (come io stesso avevo all’epoca indicato), non cambia moltissimo rispetto al tema della ristrutturazione del debito per chi accede ai prestiti del MES: infatti, la ristrutturazione continua a essere considerata come un evento eccezionale, non come la norma, come chiedevano alcuni paesi nordeuropei. E il possibile utilizzo delle risorse del MES per intervenire in caso di crisi bancaria è qualcosa di utile all’Italia: l’onere di affrontare i problemi finanziari (in questo caso bancari) non è lasciato ai singoli stati, ma è affrontato con risorse europee, con un “common backstop” come viene chiamato, un sostegno comune. In fondo questo è il principio ora seguito anche con il Recovery Fund. Quanto all’accusa di sostenere le banche tedesche, sappiamo che, casomai, è lo stato italiano e non quello tedesco ad aver bisogno di un aiuto in caso di crisi delle proprie banche.
C’è un altro punto che dovrebbe piacere all’Italia e che è parte dell’accordo raggiunto dall’eurogruppo: il common backstop comincerà a operare a inizio 2022, con quasi due anni di anticipo. Insomma, il momento in cui risorse europee potranno essere utilizzate per sostenere le banche in crisi è anticipato.
Quindi l’accordo sul MES e sul common backstop è buono. I critici nostrani dovrebbero semmai preoccuparsi di quello che abbiamo dovuto dare per ottenerlo e di questo non si parla. Il Nord Europa, per compensare l’accelerata operatività del common backstop, ha ottenuto un accordo politico per un’interpretazione più restrittiva delle norme di accesso al Fondo di Risoluzione Unico (richiedendo un maggior grado di bail in, ossia di coinvolgimento degli azionisti e dei creditori) e al tempo stesso per altre modifiche tecniche che, di fatto, potrebbero rendere più onerosa la raccolta di fondi sul mercato da parte delle banche. Altri cambiamenti della regolamentazione bancaria europea avranno effetto nel 2021 e potrebbero comportare una restrizione nell’offerta di prestiti da parte delle nostre banche. Insomma, non di solo MES vive l’uomo…