Investire per renderci tutti immuni l’unica strada per far ripartire l’Italia
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 12 gennaio 2021
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Qual è il più importante “piano” per l’economia italiana in questo momento? Vista l’attenzione del dibattito politico e mediatico sull’argomento, la risposta sembrerebbe chiara: il Recovery Plan. Deve essere così se c’è il rischio che il governo cada proprio sulla formulazione di tale piano. Ora, l’importanza del Recovery Plan è indubbia per il medio termine. Ma al medio termine occorre arrivarci e per arrivarci dobbiamo superare l’attuale crisi Covid senza troppi ulteriori danni. Per questo penso che la vera priorità al momento sia il Piano Vaccini. Eppure se ne parla troppo poco.
Ci scontriamo da un anno con un problema fondamentale: per frenare il contagio si pongono vincoli all’economia e a tante altre cose, in primis all’istruzione. Chiudere fa male. Ma non chiudere non è possibile perché il virus dilagherebbe, il che, fra l’altro, farebbe pure male all’economia, anche per l’incertezza e la paura che accompagnano gli annunci giornalieri di contagiati e morti. Si possono cercare migliori modalità per le chiusure. Ma, dopo un anno di tentativi, la coperta resta corta. Nel frattempo, l’economia continua a soffrire, come pure i conti pubblici. L’anno scorso il deficit pubblico è salito a 180 miliardi. Quest’anno si viaggia intorno ai 150 miliardi o più (per il quinto piano ristori si parla già di altri 20 miliardi).
Vorrei sottolineare che, quanto più si prolunga la crisi, tanto più i danni economici saranno permanenti. Chi resta escluso dal mondo del lavoro per tanto tempo, ha una maggiore difficoltà a rientrare. Più lunghe sono le chiusure, più è probabile che imprese non riaprano. Più a lungo dura la didattica a distanza, più diventa difficile recuperare. Gli altri paesi affrontano simili problemi, ma in Italia questi si sommano a un ventennio di mancata crescita, di mancate riforme, di sotto investimento nella pubblica istruzione.
La conclusione non può essere che una: tutte le risorse, politiche e finanziarie, devono essere spese per uscire dalla crisi sanitaria il più presto possibile. E, ora che abbiamo a disposizione la tecnologia vaccinale appropriata, questo significa che tutto va fatto per accelerare la distribuzione dei vaccini. A che punto è l’Italia?
In termini di piani, l’unico documento esistente è quello del 3 dicembre 2020, che fissa qualche obiettivo, anche se resta vago su tanti aspetti del programma di vaccinazione (a partire dal rapporto tra stato e regioni). Questo documento fissa l’obiettivo di vaccinare 6 milioni di italiani (il 10 per cento della popolazione) entro fine marzo 2021, obiettivo recentemente ribadito da Arcuri. Entro fine anno, sempre secondo Arcuri, i vaccinati dovrebbero salire a 30 milioni. Sono obiettivi modesti, perché lascerebbero gran parte della popolazione italiana soggetta a un elevato grado di incertezza per la maggior parte del 2021.
In termini di vaccinazioni effettive stiamo andando bene rispetto agli altri paesi europei, ma ricordiamoci due cose. Primo: siamo ancora a una fase iniziale del processo, con l’1 per cento della popolazione vaccinata (con una dose), soprattutto personale sanitario. Raggiungere il resto della popolazione è cosa ben più complicata. Secondo: essendo tra i paesi più colpiti dal Covid (nel 2020 siamo stati il terzo paese al mondo come numero di decessi rispetto alla popolazione) dobbiamo impegnarci di più per uscirne presto.
Il governo dovrebbe quindi esplorare tutte le possibilità per accelerare le vaccinazioni chiarendo quali siano gli ostacoli da superare per andare oltre i sopra citati modesti obbiettivi. Israele sta vaccinando 170.000 persone al giorno (in proporzione alla popolazione è come se noi ne facessimo 1 milione e 100.000, non gli attuali 70.000) e entro marzo l’obiettivo è una copertura del 55 per cento. Sono i miglior al mondo, ma anche Stati Uniti e Gran Bretagna stanno procedendo più velocemente di noi (e del resto dell’Europa). Qual è la fonte del problema? C’è un problema con l’Unione Europea? Ridiscutiamo gli accordi con l’Europa e mettiamo pressione perché l’Europa si muova più rapidamente. Servono più soldi? Il costo non può essere un vincolo. Il costo dei vaccini è una piccola frazione di quello che stiamo perdendo in termini di mancato Pil, di ristori, di mancate entrate per lo stato (il vaccino Pfizer sembra costare 12 euro a dose; quindi 120 milioni di dosi costano meno di un miliardo e mezzo). C’è chi dice che, a livello europeo, invece di avere accordi su prezzi e forniture, dovremmo comprare il brevetto del vaccino. Sarebbe possibile? In che misura i freni a una più rapida vaccinazione sono relativi alla nostra capacità di distribuzione? Il documento di inizio dicembre parlava di un massimo di 20.000 sanitari per il programma di vaccinazione. È ancora una stima adeguata? O i modesti obiettivi riflettono il timore che le persone non vogliano farsi vaccinare? Serve una massiccia campagna di informazione? Per ogni problema esiste una diversa soluzione. Ma si sono esplorate tutte le possibilità per muoversi più rapidamente?
In conclusione, non credo esista nulla di più importante al momento dell’accelerazione del programma di vaccinazione, sia dal punto di vista umano, sia in termini economici. Occorre fare chiarezza su cosa freni le vaccinazioni, occorre rivedere il Piano di inizio dicembre alla luce degli ultimi sviluppi, occorre assegnare tutte le risorse necessarie a un’accelerazione. Invece di litigare sul Recovery Plan, che ci si metta al lavoro per un Piano Vaccini che ci consenta di uscire da questo incubo prima di quanto ora previsto.