Università Cattolica del Sacro Cuore

Il vero scudo anti spread

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 30 aprile 2020

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Il declassamento dei titoli di Stato italiani deciso dall’agenzia di rating Fitch non è certo una bella notizia. Il declassamento abbassa il nostro rating (cioè il nostro “voto”) al livello più basso prima di quelli dei cosiddetti junk bond (titoli spazzatura). Nel seguito rispondo a due domande. Primo, quali sono le conseguenze del declassamento? Secondo, il declassamento è giustificato?

Cominciamo dalle conseguenze del declassamento. La reazione dei mercati finanziari alla notizia è stata moderata. Il tasso di interesse sui BTP decennali è salito di una decina di punti base per poi scendere vicino ai valori precedenti il declassamento. Perché questa reazione moderata? Molti investitori istituzionali esteri evitano, come regola interna, di comprare junk bond per cui un giudizio negativo avrebbe dovuto spaventarli ed avere un impatto negativo sul valore dei nostri titoli.

A rassicurare il mercato può aver influito il fatto che un’altra grande agenzia di rating (Standard and Poor’s) qualche giorno fa aveva confermato il rating dell’Italia. Ma il motivo principale della limitata reazione dei mercati riguarda probabilmente il comportamento della Banca Centrale Europea (BCE). Qualche giorno fa la BCE aveva infatti deciso che avrebbe accettato come garanzia per i propri prestiti alle banche anche i junk bond, il che eliminava il rischio che il declassamento dei nostri titoli al livello junk (comunque rilevante solo se deciso da tutte le principali 4 agenzie di rating) complicasse il finanziamento delle nostre banche, con effetti catastrofici sulla stabilità economica. Forse anche più importante di questo è il programma di massicci acquisti di titoli di stato deciso della BCE. Quest’anno la BCE, tramite la Banca d’Italia, acquisterà circa 220 miliardi di titoli di stato, alleviando di molto il peso degli acquisti da parte degli operatori finanziari privati. L’esistenza di questa rete di protezione deve essere tenuta a mente anche per rispondere alla seconda domanda.

Il declassamento deciso da Fitch è giustificato? Fitch dice che il declassamento è dovuto all’impatto che la crisi avrà sull’economia italiana e soprattutto sul debito pubblico che è previsto salire dal 135 al 156 per cento del Pil entro la fine dell’anno, stabilizzandosi poi a questo livello elevatissimo negli anni seguenti. La previsione è simile a quella fatta dallo stesso governo italiano. Per valutare le implicazioni di tale aumento per il rischio di una bancarotta da parte dello stato italiano (il rischio su cui le agenzie di rating si concentrano quando pubblicano la loro valutazione) occorre però considerare che alla fine di quest’anno la BCE, sempre tramite la Banca d’Italia, sarà proprietaria di circa un quarto dei titoli pubblici italiani.

Corrispondentemente, i titoli detenuti dal mercato alla fine del 2020 potrebbero non essere neppure cresciuti rispetto alla fine del 2019. Il debito detenuto dal mercato aumenterà rispetto al Pil, vista la discesa di quest’ultimo, dal 113 al 119 per cento, ma il rapporto risulterà comunque molto più basso che nel 2014 (129 per cento), prima che iniziassero le operazioni di quantitaive easing decise dalla BCE di Mario Draghi.

Visto che la BCE non intraprenderà certo operazioni speculative contro i nostri titoli di stato, la sua detenzione di una quota elevata dei nostri titoli di stato è un elemento di stabilità. Inoltre, gli interessi pagati su tali titoli, legalmente detenuti dalla Banca d’Italia, vengono restituiti allo stato attraverso la distribuzione dei profitti della Banca d’Italia. Fra l’altro, la BCE ha indicato la disponibilità ad aumentare gli acquisti di titoli pubblici e privati “di tanto quanto necessario e per quanto a lungo ce ne sarà bisogno”, come recita il suo comunicato stampa del 18 marzo.

Christine Lagarde ha avuto il suo momento “whatever it takes”. Fitch non nega che questo sia un elemento positivo, ma non lo ritiene sufficiente per evitare il declassamento. Di diverso parere, come si è detto, Standard and Poor’s, che cita questo elemento come decisivo per il mantenimento del suo giudizio sull’Italia.

Forse avrete già capito che tendo a dare ragione a Standard and Poor’s, anche se occorre riconoscere che ci sono rischi nel medio periodo. Finché la Banca d’Italia deterrà i titoli di stato nel proprio bilancio, il rischio di una crisi di fiducia nella solvibilità del nostro stato risulterà attenuato. Quali sono allora i rischi? Il principale è che, per effetto dell’immissione massiccia di liquidità e di tassi di interesse molto bassi, più in là nel tempo, una volta superata la crisi del coronavirus, l’inflazione, ora inesistente, aumenti. Questo costringerebbe la BCE a stringere la politica monetaria, aumentando i tassi di interesse e riassorbendo la liquidità immessa nei mercati finanziari in tutti questi anni, compresa l’accelerazione di quest’anno.

Per far questo dovrebbe vendere i titoli di stato, italiani e di altri paesi, attualmente detenuti. Sarà a quel punto che vedremmo il vero peso del debito pubblico italiano. Questa resta un’eventualità ed è per questo che rimane importante ridurre nel tempo il peso nel nostro debito pubblico. Ma, nel futuro immediato, il rischio di difficoltà di finanziamento risulta di gran lunga ridotto dalla potente azione della nostra banca centrale.

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