Università Cattolica del Sacro Cuore

I naufraghi del lavoro

di Carlo Cottarelli

La Repubblica, 23 maggio 2020

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Più di sette milioni di lavoratori italiani hanno chiesto la cassa integrazione. È questo finora il dato più drammatico della recessione da coronavirus. Il fenomeno è comune a tanti altri Paesi. Negli Stati Uniti si licenzia direttamente e il numero dei disoccupati è salito di oltre 20 milioni nel solo mese di aprile. Questo è l’effetto delle chiusure e del distanziamento, ma anche una volta superata l’emergenza sanitaria resterà da superare quella economica. Cosa si può fare?

La prima esigenza è il sostegno immediato del reddito di chi non può lavorare. Ieri Valentina Conte su questo giornale ha sottolineato che oltre due milioni e mezzo di lavoratori (un terzo di quelli che hanno fatto domanda) non hanno ancora ricevuto gli aiuti. A questi si aggiungono il milione di autonomi che ancora attendono i 600 euro. Il governo ha ora indicato un’accelerazione nella fornitura degli aiuti. Ma resta l’impressione che, anche in questa drammatica congiuntura, la burocrazia statale si sia mossa con la consueta lentezza. C’è un altro problema: i sostegni alle famiglie introdotti finora sono giustamente temporanei, ma, in molto aspetti, più che di temporaneità si tratta di precarietà. I bonus agli autonomi sono finanziati fino a maggio. Il reddito di emergenza è finanziato solo per due mesi. La cassa integrazione arriva fino ad agosto. Se non si tornerà al lavoro presto sarà un problema serio, a meno di nuovi interventi.

È allora fondamentale chiedersi quanto durerà la crisi.

Nella migliore delle ipotesi si può sperare che il coronavirus non abbia una seconda ondata. Certo, sembra improbabile che sparisca nelle prossime settimane, ma potremo convivere col virus se i contagi si manterranno sui livelli attuali nonostante le riaperture.

Non illudiamoci però che questo segni la fine della crisi economica. Il clima di incertezza creato dalla crisi, in Italia e nel resto del mondo, renderà famiglie e imprese prudenti nelle proprie decisioni di spesa e senza spesa non c’è produzione. Ciò comporta che la disoccupazione, palese e nascosta (tramite la cassa integrazione), tenderà a restare elevata per parecchio tempo, col rischio che i lavoratori perdano poi la capacità di rientrare nel mercato del lavoro.

Il problema della perdita dei posti di lavoro in questa recessione sembra essere particolarmente severo per le donne. Non si sta parlando abbastanza di questo aspetto anche se alcuni recenti studi ne documentano la gravità. È stato per esempio notato che nell’Unione europea il 27 per cento delle donne ha lavori precari, quelli che probabilmente saranno persi più rapidamente, contro il 15 per cento degli uomini. E che negli Stati Uniti le donne rappresentano solo il 22 per cento nei lavori facilmente eseguibili in modalità “agile”.

Tutto ciò implica che un rapido ritorno alla normalità economica è tanto necessario quanto difficile. Potranno aiutare le politiche intraprese dai vari Paesi se saranno davvero espansive. Le misure incluse nel decreto Rilancio, seppur necessarie, restano prevalentemente “difensive”: quattro quinti del pacchetto di maggio consistono di parziali reintegri del reddito perso. Solo un quinto è costituito da aumenti alla spesa pubblica (per esempio per la sanità) o incentivi a una maggiore spesa privata (per esempio l’ecobonus).

Servono quindi ulteriori interventi, soprattutto per investimenti pubblici, per avere un maggior impatto sulla domanda e sulla produzione. Spero ci sia qualcuno, nel governo o nelle task force create, che si stia occupando di questo aspetto, visto che occorre tempo per attivare gli investimenti pubblici in un Paese vincolato da un eccesso di burocrazia. Ancor più se si vogliono fare investimenti utili. Certo, come scrisse Keynes nel capitolo 10 della sua Teoria generale, anche scavare buchi per terra può aiutare a combattere una recessione, ma meglio lasciare qualcosa di buono alle generazioni future piuttosto che buchi per terra.

I nuovi interventi per uscire da questa crisi saranno però possibili solo se lo Stato italiano riuscirà a finanziarsi a tassi di interesse sostenibili. Grazie all’azione della Bce i tassi di interesse sui titoli di Stato restano solo di qualche decimo di punto sopra al livello di fine 2019. Le ultime aste dei titoli di Stato sono andate bene, come è andata bene la vendita al dettaglio del Btp Italia. Ma non si può stare troppo tranquilli. Il deficit pubblico salirà probabilmente oltre il 10,4 per cento del Pil previsto nel Documento di economia e finanza. Speriamo quindi si concretizzi il progetto di un Recovery fund: il 27 maggio la Commissione farà la sua proposta e non sarà un semplice “copia e incolla” di quella franco-tedesca, come ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Dombrovskis. Speriamo anche che si superi l’avversione ai 36 miliardi del Mes sanitario, nonostante le pregiudiziali ideologiche che ora vincolano alcuni partiti. Speriamo infine che la disponibilità, temporanea, di tutti questi soldi ci dia tempo per realizzare le riforme (a partire da un radicale taglio della burocrazia e da una velocizzazione della giustizia, civile, penale e amministrativa), senza le quali sarà difficile recuperare il terreno economico perso rispetto agli altri Paesi europei nell’ultimo quarto di secolo, e ridurre gradualmente il nostro debito pubblico una volta superata l’attuale recessione.

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