Università Cattolica del Sacro Cuore

Finisce il decennio orribile dell’economia. La crescita più bassa dall’Unità d’Italia

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 30 dicembre 2019

* * *

Martedì 31 dicembre non si conclude solo l’anno. Si conclude anche un decennio, il secondo del XXI secolo. È quindi il momento di fare un passo indietro e guardare, in una prospettiva di più lungo termine, alle tendenze economiche della nostra economia. E non è certo una bella visione.

Il decennio che si sta concludendo è stato, dal punto di vista della crescita economica, il peggiore dell’unità d’Italia. Il reddito prodotto (il Pil) è aumentato in media dello 0,2 per cento l’anno, meno di quanto fosse avvenuto nel decennio precedente (0,5 per cento), nonostante la crisi globale del 2008-09, e meno di quanto fosse avvenuto negli anni ’40 del secolo scorso (0,4 per cento), nonostante il disastro della seconda guerra mondiale. Si potrà dire che, col crescere del livello del reddito, diventa più difficile mantenere ritmi di crescita elevati, ma questo vale anche per gli altri paesi. Eppure il Pil francese nello stesso periodo è aumentato in media dell’1,3 per cento all’anno, quello tedesco del 2 per cento. E nonostante sia stata pesantemente coinvolta dalla crisi dell’euro, la Spagna è crescita in media a un tasso dell’1 per cento, cinque volte il nostro tasso di crescita, grazie a una forte accelerazione negli ultimi anni.

Questa perdita di terreno rispetto alle principali economie dell’area dell’euro è dovuta sia al basso tasso di crescita del reddito pro capite, sia al rallentamento demografico. Il calo nel numero dei nati è impressionante: nel 2018 i nati in Italia sono stati meno di 440mila contro quasi 577mila dieci anni prima, un calo del 23 per cento. Alla fine degli anni ’60 i nati erano quasi un milione all’anno. Se le notizie sul “capitale umano” sono cattive, quelle sul capitale fisico non sono migliori: il rapporto tra investimenti e Pil era del 19,4 per cento nel 2009; è ora stimato essere stato di circa due punti percentuali più basso nel 2019. Vent’anni fa si era sopra al 20 per cento.

In questa situazione di stasi economica, il numero di famiglie povere si è quasi raddoppiato in 10 anni raggiungendo il milione e 800mila nel 2018, per un totale di 5 milioni di poveri, di cui un milione e mezzo sono immigrati. Tra le varie aree geografiche, il Mezzogiorno ha sofferto le difficili condizioni economiche dell’ultimo decennio in modo particolare: secondo l’ultimo rapporto SVIMEZ nel 2018 il Pil del Mezzogiorno era ancora di oltre 10 punti più basso di quello del 2008, mentre nel Centro-Nord il divario era di soli 2,4 punti percentuali.

C’è qualche buona notizia? Il tasso di attività, cioè la percentuale di popolazione che partecipa al mercato del lavoro è aumentata dal 62,3 per cento di fine 2009 al 65,7 per cento dell’ottobre 2019. Il numero degli occupati è cresciuto nello stesso periodo da 22,6 milioni a 23,4 milioni. Ma è un piccolo aumento, non troppo distante dall’aumento del Pil: l’implicazione di questi numeri è che la produttività pro capite è stata stagnante.

A ben vedere l’unica buona notizia è la nostra minore dipendenza dall’estero: nel 2009 il nostro saldo con l’estero (esportazioni meno importazioni) mostrava un passivo pari a circa il 2 per cento del PIL; ora abbiamo un attivo intorno al 2,5 per cento del Pil. Anche qui, però, occorre stare attenti. Se la crescita è bassa le importazioni sono anche basse. Il miglioramento dei conti con l’estero è quindi in gran parte il riflesso della nostra minore capacità di crescita.

Non posso non fare almeno un accenno ai nostri conti pubblici. Nel decennio passato il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato di oltre 20 punti percentuali sorpassando il 135 per cento. Anche in questo caso, è utile mettere questo dato in una prospettiva storica. Dal 1861, il livello del 130 per cento del Pil è stato superato, per pochi anni, solo sul finire della prima guerra mondiale. Ci siamo arrivati ora senza una guerra.

Questi semplici numeri illustrano un fatto incontrovertibile: gli anni ’10 del nuovo secolo sono stati davvero brutti dal punto di vista economico. Se vogliamo uscirne, dobbiamo piantarla di addolcire la pillola con frasi del tipo “siamo ancora il secondo paese manifatturiero in Europa”, oppure “le famiglie italiane sono ricche”. E vorrei vedere! Con la storia economica che abbiamo, siamo per forza ancora un paese ricco. Ma sempre più abbiamo la ricchezza dei nobili, quella ereditata dal passato. E’ un dato di fatto che negli ultimi dieci anni abbiamo perso terreno rispetto a tutti, o quasi (ci salviamo rispetto alla Grecia). E’ ora di riconoscere la gravità della situazione. Il fatto che nel 2019 non siamo ricaduti in una recessione, come sembrava possibile un anno fa, non ci può consolare. Né ci può consolare il fatto che, negli ultimi trimestri, anche la Germania non cresca. La verità è che se anche riprendessimo ora a crescere quanto gli altri paesi d’Europa, non recupereremmo il terreno perso negli ultimi 10 anni. E neppure quello perso nel decennio precedente, visto che abbiamo cominciato a perdere terreno in termini di reddito pro capite dalla fine degli anni ’90, e in termini di reddito complessivo dalla fine degli anni ’80. Insomma, il problema è molto serio e occorre smettere di pensare che la sua soluzione possa venire da cambiamenti “al margine”. Di fronte a questi dati serve una rivoluzione economica.

Si potrà discutere di come uscire dalla presente situazione. Non voglio qui starvi a ripetere cosa sarebbe secondo me sarebbe necessario. L’ho detto e scritto più volte. Altri hanno diverse idee e c’è anche chi vuole puntare su soluzioni avventurose (inutile dire quali siano perché lo capite benissimo). Ma non è pensabile che si possa riprendere il treno della crescita, che si possa interrompere il declino, che si possa dare ai nostri giovani un futuro in Italia piuttosto che un passaporto per l’estero, che si possa sperare che l’Italia torni ad avere in Europa e nel mondo il ruolo che ha svolto nella storia passata se si va avanti con mezze misure, con bonus vari, con improvvisazioni senza una chiara visione. Sarebbe probabilmente ingeneroso incolpare questo governo, nato in settembre, di non aver presentato al Parlamento una legge di bilancio con una chiara visione di medio termine. Non c’era molto tempo. Ma questo governo deve ora chiarire quale sia la sua visione e realizzarla rapidamente. Viste le divisioni finora mostrate, non credo che ci siano molte speranze, ma sta al governo stupirci. Altrimenti non resta che tornare alle urne al più presto.

Articoli correlati