Eurozona, la sola BCE non basta
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 7 maggio 2020
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Bundesverfassungsgericht. È il nome, non proprio facile da pronunciare, della Corte Costituzionale tedesca che martedì scorso ha pubblicato una sentenza di non poco conto per il futuro dell’Unione Europea. Certo, le conseguenze economiche e politiche di tale sentenza non sono ancora chiare. I mercati finanziari hanno per ora reagito in modo misurato: il tasso di interesse sui BTP è aumentato solo di 20 punti base. Ma, talvolta, le implicazioni economico-politiche di certi eventi emergono solo nel tempo. Vale quindi la pena di guardare la sentenza da vicino.
La sentenza riguarda le operazioni di Quantitative Easing (QE), ossia gli acquisti di titoli, soprattutto pubblici, da parte della BCE. Questi acquisti sono intrapresi per stimolare l’economia: quando la BCE compra titoli dalle banche, la liquidità di queste ultime aumenta, il che permette un aumento dei prestiti. Per capire le implicazioni della sentenza, è anche utile ricordare che gli acquisti della BCE sono eseguiti dalle banche centrali nazionali: solitamente la Bundesbank compra bund tedeschi, la Banca d’Italia BTP italiani e così via.
Nella sua sentenza, la corte tedesca afferma, prima di tutto, che decidere sulla legittimità del QE, e implicitamente sulla legittimità di altre politiche della BCE o di altre istituzioni europee, non spetta solo alla Corte di Giustizia Europea, che a fine 2018 aveva sancito che il QE era legittimo. Spetta anche alle corti nazionali, almeno quando la Corte Europea prenda decisioni che siano sbagliate “in modo manifesto”. Già di per sé questa affermazione è molto pesante perché, se accettata, lascerebbe spazio a un intervento di ogni corte costituzionale nazionale riguardo al funzionamento delle istituzioni europee.
Venendo alla sostanza della decisone, la corte tedesca pone dei paletti per l’ammissibilità del QE. Dice che il QE non viola in modo manifesto il divieto di finanziamento monetario degli stati (uno dei capisaldi delle regole sul funzionamento della BCE), ma solo se rispetta certi vincoli: tra questi ci sono il tetto del 33 per cento agli acquisti di ogni tipo di titolo e il fatto che gli acquisti per ogni paese devono avvenire in proporzione alla “capital key” (la quota di ogni paese nel capitale della BCE). Il problema è che la BCE ha di recente eliminato o attenuato tali vincoli rispetto agli acquisti di titoli lanciati quest’anno in risposta alla pandemia. La sentenza non si applica al nuovo programma di acquisti: formalmente riguarda solo i vecchi programmi. Ma è chiaro che la sentenza vincola informalmente anche il futuro. Insomma, la Corte dice sì al QE ma con dei limiti.
Il limite più importante riguarda però l’entità degli acquisti. La critica è qui basata su un principio fondamentale dell’Unione Europea, quello della “proporzionalità”. Questo termine è usato per indicare che “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati” (articolo 5 del Trattato sull’Unione Europea). In sostanza la Corte tedesca dice che il volume e la durata delle operazioni di QE intraprese a partire dal 2015 (2500 miliardi in pochi anni) sono tali da avere implicazioni che vanno ben al di là delle attività di politica monetaria. Operazioni di tale dimensione consentono ai governi di finanziarsi a tassi molto inferiori a quelli di mercato e migliorano i bilanci delle banche, riducendone l’esposizione a titoli pubblici ad alto rischio. Inoltre, tassi di interesse troppo bassi penalizzano i risparmiatori e le compagnie di assicurazione e consentono la sopravvivenza di imprese decotte. La BCE avrebbe operato quindi con interventi tali da non essere proporzionati, visti i loro effetti su altri aspetti dell’economia, rispetto al suo mandato strettamente legato alla politica monetaria.
Non entro nel merito di queste argomentazioni, anche se mi sembra davvero curioso che la corte tedesca si accorga che la politica monetaria, influenzando i tassi di interesse, abbia effetto su diversi aspetti del funzionamento dell’economia (è quello che gli economisti chiamano il “meccanismo di trasmissione della politica monetaria”). Ma tant’è. Sulla base di queste argomentazioni la Corte tedesca chiede alla BCE di spiegare perché ritenga che gli obiettivi monetari del QE siano “proporzionati” rispetto agli effetti economici e fiscali che causano. Se non c’è una risposta soddisfacente, la Bundesbank dovrà sospendere gli acquisti di titoli di stato tedeschi e vendere, gradualmente, i titoli già acquistati. Inoltre il parlamento tedesco e la Bundesbank dovranno vigilare perché la BCE rimanga in futuro nei limiti del proprio mandato.
Non è chiaro cosa accadrebbe se la BCE non fornisse una spiegazione convincente. Una sospensione degli acquisti di titoli di stato tedeschi da parte della Bundesbank, non ci toccherebbe. La BCE, tramite la Banca d’Italia, continuerebbe gli acquisti di titoli di stato italiani, che è quello che per noi conta. Inoltre, come notato, la decisone della corte tedesca non riguarda gli acquisti effettuati attraverso il nuovo programma di QE introdotto dopo la pandemia. Ma resta una conseguenza importante: come minimo la BCE troverà, di fatto, più difficile aumentare gli acquisti del QE in futuro. E senza la possibilità di aumenti negli acquisti, in risposta per esempio a un aggravarsi della crisi economica, l’area euro potrebbe restare senza un’adeguata rete di protezione.
Ultima considerazione: tutto questo rende anche più urgente che in passato introdurre finanziamenti per combattere la crisi che non coinvolgano la BCE. Le obbligazioni per la ricostruzione (recovery bond) per finanziare il fondo per la ricostruzione (recovery fund) avrebbero proprio questo scopo. Attendiamo quindi la proposta della Commissione Europea sulle caratteristiche di queste obbligazioni, proposta che dovrebbe arrivare a giorni.