Eurobond, l’opzione di Bruxelles
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 19 marzo 2020
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La disastrosa conferenza stampa di Christine Lagarde qualche giorno fa ha distolto l’attenzione da quello che le istituzioni europee stanno effettivamente facendo per sostenere l’economia del nostro continente. Credo sia utile quindi riassumere quello che è stato deciso, quello che probabilmente verrà presto deciso e quello che invece manca.
Le decisioni prese qualche giorno fa dalla BCE, al di là dell’enorme problema di comunicazione insorto durante la conferenza stampa sulla questione degli spread, non sono irrilevanti. Due quelle più importanti. La prima è che le banche potranno prendere a prestito dalla BCE importi illimitati di risorse per prestare a piccole e medie imprese e potranno farlo a tassi di interesse negativi. Non era mai successo. La seconda è che i vincoli che condizionano l’erogazione del credito relativi al capitale proprio delle banche sono stati attenuati. Dato che una banca per prestare ha bisogno di due cose (liquidità e capitale proprio), queste decisioni rendono di fatto molto più facile l’erogazione del credito.
Sono importanti anche alcune decisioni prese ieri dall’eurogruppo, cioè dai ministri delle finanze dei paesi dell’euro. Il relativo comunicato stampa, che ha attirato peraltro poca attenzione, definisce le linee guida che i paesi dell’area si impegnano a seguire in termini di politica di bilancio. Tutti i paesi si sono impegnati a lasciar crescere il deficit pubblico per effetto della perdita di entrate e dell’aumento automatico delle spese (per esempio per sussidi di disoccupazione) legato al rallentamento economico, a prendere misure espansive per l’emergenza medica, a sostenere la liquidità delle imprese (per esempio attraverso misure di tassazione e garanzie pubbliche ai prestiti), a trasferire risorse a imprese e famiglie per evitare perdite di occupazione e di reddito. Non si tratta solo di promesse. Il comunicato nota che i paesi dell’area hanno già deciso l’introduzione di misure espansive quest’anno pari all’1 per cento del Pil (circa 120 miliardi di euro) e di garanzie e altri sostegni alla liquidità delle imprese (come ritardi nei pagamenti delle tasse) pari a dieci volte tanto. Il comunicato indica anche la possibilità che questi importi siano aumentati di molto in futuro. E le regole europee sui conti pubblici dove sono finite? Il comunicato ricorda che le regole attuali consentono di aumentare il deficit per misure più direttamente collegate al coronavirus in quanto questo rappresenta un “evento inusuale”. Segue poi la frase più importante: “L’eurogruppo accoglie con favore il fatto che la Commissione sia pronta ad attivare la clausola generale” che consente al deficit pubblico dei paesi membri di sforare il tetto del 3 per cento del Pil, la più “sacra” delle regole europee. Attenzione, la decisione non è stata ancora presa: la Commissione è pronta ad attivare la clausola, ma non lo ha ancora fatto. Forse qualche paese non è ancora completamente convinto, ma è questione di giorni. Ricordo in proposito che, nel 2009, sotto la spinta della crisi economica globale, il deficit di tutti i paesi dell’attuale euro area (tranne Estonia, Finlandia e Lussemburgo) crebbe ben al di sopra del 3 per cento (il deficit tedesco salì al 4,4 per cento nel 2010, quello francese al 7 per cento). Insomma, è molto probabile che anche questa clausola “liberi tutti” sia a questo punto attivata. Mi sembra che di fatto i paesi si stiano comportando come se già lo fosse.
Quindi l’Europa si muove. È sufficiente? C’è un aspetto che resta problematico e riguarda la reazione dei mercati finanziari di fronte allo shock economico e all’aumento dei deficit pubblici. Ieri il tasso sui BTP decennali ha continuato a crescere, raggiungendo il 2,4 per cento, ancora un tasso relativamente basso ma il più alto dal 2014, eccezione fatta per il periodo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 quando il tasso salì su valori intorno al 3 per cento per effetto delle decisioni prese dal governo gialloverde. Negli ultimi giorni è persino aumentato il tasso di interesse sui bund tedeschi, pur restando negativo. Occorre quindi fare di più per evitare che allo shock economico si aggiunga anche uno shock finanziario. Tre cose possono aiutare. La prima, lo ricordo ancora una volta, sarebbe quella di iniziare a sostenere l’economia europea attraverso deficit finanziati con emissioni di debito comune (gli eurobond). Al momento sembra politicamente difficile, ma durante la crisi del 2011-12 si fecero cose che apparivano inizialmente impossibili. Secondo, sarebbe importante aumentare in modo più significativo gli acquisti di titoli (pubblici e privati) da parte delle BCE (il cosiddetto quantitative easing): l’aumento deciso qualche giorno fa è modesto, da 20 a 33 miliardi al mese, quando nel periodo d’oro di queste operazioni si arrivò a 80 miliardi. Terzo, servirebbe un intervento specifico per calmierare gli spread. Questo è il punto su cui è scivolata Christine Lagarde, anche se poi è tornata sui suoi passi. E non poteva non farlo visto che l’armamentario a disposizione della BCE include dal 2012 uno strumento (le Outright Monetary Transactions, OMT) che consente proprio acquisti di titoli di stato di paesi sotto pressione, per importi praticamente illimitati, per calmierare gli spread. Possiamo stare tranquilli allora? Non proprio perché un paese può beneficiare delle OMT solo se riceve un prestito dal fondo salva stati (l’ormai celebre MES). E per ricevere un prestito dal MES occorre concordare un programma economico. Ragionevolmente, un tale programma, nella situazione attuale, potrebbe (anzi dovrebbe) non comportare misure restrittive fino al ristabilimento di una situazione di crescita, ma è irrealistico pensare che non comporti impegni che vincolerebbero l’Italia nel medio periodo e che potrebbero essere, anche solo in via di principio, mal digeriti dalla nostra opinione pubblica.