Decreto sostegni, il primo passo contro la crisi
di Carlo Cottarelli
La Repubblica, 22 marzo 2021
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Speriamo finisca presto. Sto parlando del Covid naturalmente. Speriamo finisca presto perché le perdite umane sono ancora elevatissime, perché alcuni settori economici sono ancora nella morsa delle chiusure e anche perché la risposta di politica economica alla pandemia sta avendo effetti sempre più pesanti sui nostri conti pubblici. Venerdì scorso il governo Draghi ha varato il suo primo decreto di sostegno all’economia. Commento tre punti principali.
Primo, il quadro complessivo. L’anno scorso il deficit pubblico è stato di circa 160 miliardi (più di 5 volte quello del 2019). Quest’anno il deficit era previsto essere di 123 miliardi. Poi è stato aumentato di 32 miliardi con lo scostamento di bilancio approvato a gennaio, scostamento ora già interamente assorbito dal decreto di venerdì. E si arriva a 155 miliardi. Draghi ha già anticipato, e ha fatto bene perché era inevitabile, che serviranno altri soldi, diciamo un’altra quindicina di miliardi. Si arriva a 170 miliardi, più dell’anno scorso. A questo si devono aggiungere le minori entrate per lo stato derivanti da una crescita economica più bassa quest’anno di quanto era stato previsto (ormai il 6 percento di crescita reale su cui è stata basata la legge di bilancio è difficilmente raggiungibile). Forse potrà però aiutare il fatto che la nostra capacità di spesa possa essere inferiore alle intenzioni, come già avvenuto nel 2020. In ogni caso, il debito pubblico subirà un nuovo balzo. Le informazioni attualmente disponibili, prima della pubblicazione del DEF in aprile, sono solo parziali, ma si può ipotizzare che, anche con una ripresa del PIL a partire dal secondo trimestre, il debito potrebbe salire dal 156 per cento del Pil di fine 2020 al 160 per cento a fine 2021, superando il precedente record raggiunto dopo la prima guerra mondiale (158 per cento). Questo aumento del debito è inevitabile e del tutto appropriato nelle attuali circostanze. Nel pararne i potenziali effetti collaterali negativi, ci sta aiutando per ora il fatto che tutto l’aumento del debito è nei confronti delle istituzioni europee, in primis della BCE che sta comprando titoli di stato italiani per motivi di politica monetaria (l’inflazione è bassa). Ciò detto, i nostri conti pubblici diventano sempre più dipendenti dal futuro dell’inflazione, della politica monetaria europea e dei tassi di interesse internazionali.
Secondo, le misure. Tra queste troviamo, oltre a spese sanitarie addizionali, la solita lista di sostegni cui ormai ci stiamo abituando: cassa integrazione, versamenti a partite IVA, reddito di cittadinanza e inclusione, eccetera. Il governo ha appropriatamente cambiato alcuni dei parametri utilizzati per il calcolo dei trasferimenti a fondo perduto per le partite IVA: non più la perdita di fatturato dell’aprile 2020 rispetto a quella dell’aprile 2019 (un dato molto erratico), ma la perdita media nel 2020 rispetto al 2019. Inoltre sono stati eliminati i famigerati codici ATECO riconoscendo che hanno diritto ai ristori anche i settori colpiti indirettamente da perdite di fatturato. Infine, le risorse (11 miliardi) dovrebbero essere erogate rapidamente, entro il mese di aprile. Chi ha subito perdite considererà questo sostegno inadeguato (si tratta di 3700 euro in media per ogni partita IVA). Altri sostegni arriveranno probabilmente con il prossimo decreto, dopo l’approvazione di un nuovo scostamento di bilancio. Purtroppo qualcuno riceverà il sostegno anche senza averne un vero bisogno. Come in passato, il sostegno andrà infatti anche a chi ha altre fonti di reddito, purché abbia subito una perdita di fatturato IVA. Forse si poteva richiedere un’autocertificazione relativa al reddito complessivo stimato per il 2020. Sarebbe un dovere morale di che non ne ha bisogno evitare di richiedere il sostegno. Ma i doveri morali spesso non rilevano quando si tratta di ricevere soldi dallo stato.
Terzo, la cancellazione delle cartelle. Draghi stesso l’ha chiamato un condono. Lo scrivente ha spesso biasimato il perpetuo ricorso ai condoni. Ma, a ben vedere, si tratta di un’operazione non assimilabile ai condoni cui ci eravamo abituati, quelli che consentivano il rimpatrio di miliardi a facoltosi evasori. I “paletti” che sono stati imposti sono chiari. La cancellazione delle cartelle riguarda debiti fiscali che risalgono a 10-20 anni fa, che hanno importo limitato (5000 euro il che significa, senza interessi e penalità, un debito iniziale molto più contenuto), e la cui cancellazione beneficerà solo chi aveva un reddito sotto i 30.000 euro nel 2019 (anche se il reddito effettivo potrebbe essere superiore). Nella sostanza si tratta di un’operazione di semplificazione: l’eliminazione contabile di 16 milioni di vecchi crediti di fatto non inesigibili. Probabilmente è stata fatta per dimostrare a chi nel governo voleva una sanatoria ben più imponente che si era disposti a scendere a un compromesso. Che altro si poteva fare con una coalizione così eterogenea?