Debito pubblico e NextGenerationEU
di Giampaolo Galli
Il Riformista, 5 gennaio 2021
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Uno dei lasciti dell’epidemia sarà un debito pubblico elevatissimo, che probabilmente a fine 2020 dovrebbe essersi attestato attorno al 160% del Pil, il valore più alto dall’Unità d’Italia. Il debito raggiunse un valore simile, 159%, dopo la prima guerra mondiale, nel 1920. Allora il problema fu attenuato dal fatto che l’Italia- potenza vincitrice – poté utilizzare le riparazioni pagate agli alleati dalla Germania per saldare il proprio debito. Il debito rimase comunque attorno fra l’80 e 100% del Pil fino alla seconda guerra quando risalì verso il 120%. In quel caso il problema fu risolto dall’inflazione che abbatté in misura drastica il potere d’acquisto della lira. Durante la guerra e fino al 1946 la lira si ridusse a un trentesimo del suo valore dell’anteguerra; alla fine del 1947, bloccata l’inflazione grazie alla manovra monetaria restrittiva voluta da Luigi Einaudi, il debito pubblico era crollato al 25% del Pil. Il costo per i risparmiatori che avevano sottoscritto il debito nell’anteguerra fu immenso.
Queste soluzioni del passato non sono praticabili oggi. Non c’è un debito di guerra che possa essere rinegoziato e non è immaginabile un’inflazione molto elevata. Il debito con la Bce non può essere cancellato perché i Trattati non lo consentono e non c’è il consenso necessario in Europa per cambiarli.
Come si risolverà dunque il problema?
Secondo il piano presentato in Europa dal governo, la soluzione dovrebbe consistere in un mix di politiche di bilancio prudenti (deficit al 3% già nel 2023 e pareggio successivamente) e di tassi di crescita molto più elevati che negli anni scorsi (2% in media, con una forte accelerazione negli della ripartenza post-Covid e poi una convergenza verso 1%), da ottenersi soprattutto con un utilizzo efficiente dei fondi europei del NextGenerationEu. In questo modo, il governo punta a ricondurre il debito al livello pre-Covid (134,6%) nell’arco di un decennio. Piani analoghi sono stati formulati da molti altri paesi, dato che il problema dell’aumento del debito a causa della pandemia riguarda tutti i paesi, anche se in misura inferiore rispetto all’Italia.
È realizzabile il piano del governo? A giudicare dalla reazione dei mercati finanziari, la risposta sembrerebbe positiva: se i mercati giudicassero probabile un futuro default dell’Italia non comprerebbero titoli pubblici o quantomeno chiederebbero un rendimento molto più alto.
È evidente però che il piano di rientro delineato dal governo richiederà uno sforzo straordinario e prolungato della comunità nazionale, simile a quello che fu messo in atto nella seconda metà degli anni novanta per entrare nell’euro; richiederà anche una certa dose di fortuna. È appena il caso di ricordare che l’Italia non è mai riuscita a raggiungere il pareggio di bilancio e che negli ultimi vent’anni il tasso di crescita medio è stato più vicino allo zero che all’1% previsto a regime dal governo.
Un aspetto cruciale del piano del governo è la permanenza dei tassi di interesse sugli attuali bassissimi livelli, per cui il tasso implicito del debito (spesa per interessi su debito) scende rapidamente dal 2,4% del 2020 al 2,1%. La combinazione di bassi tassi d’interesse, ripresa della crescita e inflazione al 2% fa sì che per un decennio il tasso d’interesse si mantenga al di sotto del tasso di crescita, una condizione che non si è quasi mai verificata prima in Italia e che è cruciale per la sostenibilità del debito pubblico.
Le ipotesi del governo sui tassi d’interesse sono coerenti con le previsioni implicite nei tassi di interesse al lungo termine, anch’essi su livelli straordinariamente bassi. Ma spesso i mercati sbagliano o cambiano opinione repentinamente. I forti aumenti dei tassi di interesse che si verificarono negli anni ottanta non erano stati previsti, tant’è che in tutto il decennio precedente i mercati continuarono a finanziare debiti pubblici crescenti a tassi d’interesse negativi in termini reali. In sostanza, nulla ci assicura che la lunga sequenza di politiche monetarie iper espansive e tassi di interessi bassi e addirittura negativi possa durare a lungo.
Dunque, non è ovvio come l’Italia possa risolvere la questione del debito, ma è evidente che il problema non può essere eluso. Ora la priorità assoluta è quella di curare le ferite inflitte dal Covid e di fare gli investimenti necessari per la ripartenza. È cruciale però che questi investimenti abbiano una visione lunga e siano accompagnati dalle riforme che sono indispensabili per rimettere l’Italia lungo un sentiero di crescita. A questo devono servire i fondi che l’Europa ci mette a disposizione con il NextGenerationEU. Investimenti lungimiranti e riforme devono dare all’Italia una prospettiva di crescita robusta per i prossimi decenni, non solo per i prossimi mesi. È questo l’esame a cui l’Europa e, ciò che più conta, i mercati attendono l’Italia nei prossimi mesi. Peraltro, tornare alla crescita dovrebbe essere la principale preoccupazione degli italiani.