Università Cattolica del Sacro Cuore

Dalle Borse una reazione esagerata al virus. Il vaccino per l’Italia è spingere sulle riforme

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 26 febbraio 2020

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Fino a qualche giorno fa abbiamo guardato alle conseguenze economiche sul mondo, sull’Europa e sull’Italia dell’epidemia cinese. La prospettiva è purtroppo cambiata da quando l’Italia è diventata il terzo paese al mondo dopo Cina e Corea del Sud come numero di contagi. Ora è il resto del mondo che si preoccupa delle ripercussioni di una possibile crisi economica italiana scatenata dal coronavirus. I dati sugli andamenti delle borse in questi giorni sono chiari in proposito. L’epicentro della scossa è stata la borsa di Milano, estendendosi da qui agli altri paesi. Il differenziale tra tasso di interesse sui titoli di stato italiani e quelli tedeschi (lo spread) ha ripreso a crescere. È stata una reazione razionale? Quanto durerà? E cosa dovrebbe fare il governo per ridurre i rischi economici?

I mercati finanziari reagiscono spesso in modo eccessivo alle notizie. Per quanto seria sia la situazione dal punto di vista medico, oggettivamente la reazione alle notizie che ci sono giunte negli ultimi giorni non giustificano una reazione dei mercati finanziari così brusca. Attenzione, sto parlando della reazione alle nuove notizie. Questo non vuol dire che lo shock che ha colpito la Cina, la prima o seconda economia mondiale (dipende dall’indicatore che utilizziamo), fosse irrilevante. Ma la reazione alla notizia dell’estensione all’Italia del contagio, in termini puramente quantitativi, è stata sorprendentemente forte. Le aree poste in quarantena comprendono meno dello 0,1 per cento della popolazione italiana. In termini di Pil contano un po’ di più, ma resta una quota limitata. Anche gli ostacoli all’attività produttiva che si manifestano in altre parti del Nord, per quanto molto visibili (metropolitane semi vuote), restano ancora contenuti. Detto questo, gli effetti psicologici in economia sono molto importanti e sarebbe semplicistico dire che “i mercati sbagliano”. I mercati sono composti da decine di migliaia di operatori di tutte le dimensioni che cercano di indovinare quello che sarà il comportamento degli altri operatori. Da qui derivano reazioni “da mandria”, con rapidi passaggi da momenti di euforia a momenti di depressione sulla base di notizie talvolta di portata limitata.

Spesso queste reazioni erratiche sono di breve durata, sono scintille che non hanno seguito. Il problema è quando queste scintille si realizzano in una situazione già di per sé non molto buona. Insomma, è un po’ come con il coronavirus. Si possono ammalare tutti, ma i casi più gravi (i decessi) sembrano verificarsi in persone anziane con altre patologie. E la nostra economia è anziana ed ha altre patologie piuttosto serie: siamo da vent’anni il fanalino di coda dell’Europa in termini di crescita e abbiamo il debito pubblico più alto d’Europa dopo la Grecia (i cui creditori sono però prevalentemente istituzioni e paesi europei e non i mercati finanziari). A ciò si aggiunge il peggioramento congiunturale dell’economia europea e, di riflesso, di quella italiana: il nostro Pil era caduto dello 0,3 per cento nell’ultimo trimestre del 2019 a fronte di una crescita dello 0,1 per cento in Europa. Si sperava in un rimbalzo nel primo trimestre del 2020, ma forse ora un’ulteriore piccola discesa è possibile. Se anche l’attività economica riprendesse nel secondo trimestre, l’anno potrebbe concludersi con una crescita zero, contro lo 0,6 per cento previsto dal governo. Risultati peggiori non possono essere esclusi. Il debito pubblico, già sui valori massimi nella storia d’Italia (a parte un breve intervallo dopo la prima guerra mondiale), continuerebbe a crescere rispetto al Pil. Insomma, occorre vedere se l’evento del coronavirus cinese, e delle sue ripercussioni mediche in Italia, causerà un cambiamento di quel clima di ottimismo e riduzione della propensione al rischio che aveva caratterizzato i mercati finanziari mondiali e italiani nell’ultimo anno e che aveva portato lo spread sui livelli minimi di inizio 2018. Questo è lo sviluppo cruciale da monitorare.

In questa situazione, cosa deve fare il governo italiano per minimizzare i rischi? Ovviamente la priorità immediata è quella di fornire un sostegno economico alle aree maggiormente colpite dal contagio. La solidarietà ha precedenza su tutto. Il costo sembrerebbe per il momento essere limitato. I problemi maggiori per la tenuta dei nostri conti pubblici emergerebbero se, per effetto dello shock sulle aspettative dei mercati finanziari, delle imprese e delle famiglie, l’Italia entrasse in recessione. Per ridurre questo rischio diventa ancora più importante che il governo renda chiaro di poter portare avanti un’agenda di riforme (meno burocrazia, un settore pubblico più efficiente, a partire dalla giustizia civile, una spesa pubblica senza sprechi che consenta di ridurre la pressione fiscale, una pubblica istruzione adeguatamente finanziata, investimenti pubblici ben gestiti) in grado di irrobustire l’economia italiana in modo permanente. Naturalmente, queste riforme richiedono tempo. Ma il punto è gestire le aspettative e uno sforzo riformista serio potrebbe influire su queste ultime. Come ho detto, le scintille diventano incendi in situazioni già di per sé precarie. I rischi si riducono se si risolvono i problemi di fondo.

Detto questo, se, nonostante gli sforzi riformisti del governo (ancora dobbiamo vederne chiari segni), l’Italia entrasse in recessione, diventerebbe difficile evitare un aumento del deficit pubblico e una accelerazione della crescita del debito pubblico rispetto al Pil. Paesi con un debito pubblico basso possono affrontare tali fasi senza apprensioni. È fisiologico che il debito pubblico aumenti in certi momenti, anche in modo significativo. Come è fisiologico che scenda in altri momenti, in modo simmetricamente significativo. Il problema è che da noi in passato sono mancati questi ultimi momenti. Ci troviamo quindi, ancora una volta, esposti a rischi che altri paesi non corrono. Dobbiamo quindi sperare che chi presta soldi all’Italia, in un contesto in cui la politica monetaria europea rimarrà probabilmente molto espansiva, non sia eccessivamente preoccupato da una nostra eventuale recessione e da un aumento ulteriore del debito pubblico. Se ciò non avvenisse, sarebbero guai. È ancora uno scenario ipotetico, per fortuna, e sarebbe sbagliato fasciarsi la testa prima d’averla rotta. Crisi come quella del 2011-12 sono per fortuna eventi rari, anche se causano danni enormi quando si verificano. È prematuro discutere come il Paese dovrebbe reagire in quelle condizioni. Il governo porti quindi avanti in modo deciso un’agenda di forti riforme, l’unico rimedio al momento disponibile per ridurre i rischi.

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