Condizioni accettabili. L'incognita siamo noi.
di Carlo Cottarelli
La Repubblica, 22 luglio 2020
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Premessa: prima di dare un giudizio finale sull’accordo raggiunto al Consiglio europeo sul “Recovery Fund” (più propriamente il Next Generation Eu) occorrerà esaminare bene tutti i documenti che verranno pubblicati nei prossimi mesi. Ciò detto, al momento il giudizio non può essere che positivo. All’Italia arriverebbero 209 miliardi a partire dalla seconda metà del 2021. Il totale è più alto di quella forchetta di 150- 170 miliardi proposti dalla Commissione europea in giugno. I trasferimenti a fondo perduto restano intorno a 80 miliardi, ma aumentano i prestiti agevolati. Si è quindi scampato il primo pericolo: quello che le risorse, soprattutto i trasferimenti, fossero tagliati per le pressioni dei Paesi “frugali”.
Il secondo punto sollevato dai “frugali” riguardava il processo decisionale relativo all’erogazione delle risorse. Riassumiamo l'accordo in proposito. I Paesi dovranno presentare programmi di utilizzo dei fondi. Il Consiglio europeo (quindi il livello “politico”) li potrà approvare su proposta della Commissione con “maggioranza qualificata”. Qui si è scampato il rischio dell’approvazione all'unanimità che avrebbe consentito anche a un singolo Paese di bloccare tutto (anche se una minoranza sufficientemente ampia potrebbe farlo). Che accade poi? Parte dei fondi verrebbe erogata subito, il resto a rate via via che certi obiettivi saranno raggiunti. Chi decide se gli obiettivi sono stati raggiunti? La Commissione, sentito il parere del Comitato economico finanziario (Cef), l'organo tecnico che assiste l’Ecofin, il consiglio dei ministri delle finanze. Attenzione: in casi “eccezionali” in cui non fosse possibile raggiungere un parere comune nel Cef, un paese potrebbe richiedere la convocazione del Consiglio europeo che dovrebbe esprimere la propria opinione (è questo il meccanismo del “freno di emergenza” discusso negli ultimi giorni). Non è chiaro come, nell'ambito del Consiglio, le decisioni sarebbero prese, ma anche in questo caso non dovrebbe esserci nessuna possibilità di veto.
Tutto sommato si tratta di un processo ragionevole. I soldi per finanziare il Recovery Fund sono presi a prestito insieme e si decide insieme come utilizzarli: se dici che i soldi servono per rimodernare le scuole e poi li usi, che so, per estendere quota 100 per altri 10 anni, allora mi sembra ovvio che l'Europa sollevi qualche obiezione. Ma il fatto che il processo sia ragionevole non significa che non possa essere fonte di tensione tra il nostro Paese e l'Europa. Già immagino tanti che, in nome della sovranità nazionale, si inalbereranno se l'Europa osasse interrompere il flusso di finanziamenti. Anzi, si inalberano già adesso perché una parte dei soldi arriva come prestito (e quindi, udite, udite, deve essere restituito), dimenticando che un prestito, probabilmente pluridecennale e a tassi bassissimi, è comunque un bel regalo.
Peraltro, c'è un'altra forma di condizionalità, che potrebbe suscitare anche maggiori obiezioni e che sorprendentemente non è stata finora commentata. L'articolo 69 dell’Annesso al documento adottato dal Consiglio europeo riguarda la “sound economic governance”. Non è chiarissimo, ma in combinazione con la bozza di regolamento fatta circolare a giugno dalla Commissione, suggerisce quello che potrebbe accadere se un Paese che riceve finanziamenti dal Recovery Fund violasse le regole europee sui conti pubblici. Tali regole sono attualmente sospese, ma prima o poi verranno riattivate. L'articolo 69 dice che l’erogazione delle risorse potrebbe essere sospesa se un Paese non prendesse le misure raccomandate nel contesto del processo di “governance” economica. Presumibilmente questo significa, per esempio, che un Paese che fosse messo in procedura di deficit eccessivo e che non realizzasse le azioni correttive richieste si vedrebbe bloccare le erogazioni di fondi. Anche questo è logico visto che, in via di principio, i Paesi che non seguono le raccomandazioni potrebbero persino essere multati. Non è mai successo, ma è ovvio che, per lo meno, non verrebbero erogati nuovi finanziamenti. La portata di questo articolo 69, come ho detto, non è ancora chiarissima, ma esiste certo il potenziale per future tensioni.
Restano quindi incertezze. E non posso non nominare quella principale, ossia sulla nostra capacità a presentare un programma di riforma credibile e, soprattutto, a realizzarlo. Ma per ora godiamoci l'accordo raggiunto che, insieme ai massicci finanziamenti che ci arrivano dalla Bce, ha consentito ai tassi di interesse sui nostri Btp di tornare ai livelli pre-Covid.