Con i fondi del Recovery crescita assicurata ma il valore del piano si vedrà alla distanza
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 3 maggio 2021
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Il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato inviato a Bruxelles. È un buon piano? Porterà a maggiore crescita economica non solo nell’immediato futuro, ma anche nel medio termine?
La strategia è quella giusta. Se il problema è la crescita (mancata nel ventennio pre-Covid), la soluzione è aumentare la produttività del nostro lavoro (cioè il prodotto per occupato). Questo richiede investimenti in capitale fisico e “umano” (non mi piace questo termine, ma è quello comunemente usato per indicare la nostra ricchezza umana). Il Piano vuole rimuovere le condizioni che frenano l’investimento privato in Italia attraverso appropriate riforme: la semplificazione della normativa, l’efficientamento della pubblica amministrazione e la riforma della giustizia sono le cose che le imprese richiedono da anni come condizione per investire di più in Italia. Oltre alle riforme il piano prevede un forte aumento della spesa pubblica (digitalizzazione, infrastrutture, pubblica istruzione, sanità) per rendere il paese più moderno e per arricchirne il capitale umano. Questo avrà effetti diretti sulla produttività e incoraggerà ulteriormente gli investimenti privati. Il ruolo della spesa pubblica è anche un altro: dare una spinta diretta alla domanda di beni e servizi. Insomma, il Piano agisce sia sul lato dell’offerta (la produttività) sia su quello della domanda.
Scendiamo ora dalla visione a 10.000 metri a quella più vicina al terreno. Il Piano è più dettagliato di quello che ci aveva lasciato Conte (“bella forza”, direbbe quest’ultimo, “mi avessero dato tre mesi in più!”). Ci sono tanti dettagli, ma ne mancano ancora di importanti. Prendiamo un tema essenziale per la costruzione del nostro capitale umano e per la parità di genere: gli asili nido (un mio chiodo fisso!). Il PNRR dice che si spenderanno 4,6 miliardi per creare nuovi posti in asili nido e in scuole dell’infanzia, senza distinguere tra i primi e le seconde, anche se è solo tra i primi che abbiamo fondamentali carenze rispetto all’Europa (fra l’altro, si dedicano a questo tema solo 7 righe, quando, subito dopo si trovano due pagine sulle palestre). Dove staranno i dettagli mancanti? Staranno certo nelle “schede” che indicano puntualmente gli obiettivi al cui raggiungimento saranno erogati i finanziamenti europei. Queste fondamentali schede non sono ancora disponibili ed è difficile valutare a pieno le azioni del Piano senza il loro aiuto.
Con questo caveat, rispondo ora alla domanda cruciale. Ma funzionerà? Nell’immediato penso proprio di sì. Vedete, quando la spesa pubblica aumenta rapidamente (e, sottolineo, quando non ci sono problemi di finanziamento), il Pil cresce nell’immediato. Finché ci sono soldi da spendere, conta più la quantità della qualità. Keynes diceva che si possono far scavare buche per terra e questo servirà comunque a far riprendere l’economia. Insomma, anche se decidessimo di costruire un ponte tra Roma e la Sardegna inizialmente questo creerebbe occupazione e Pil! Finché durano i soldi dell’Europa anche il debito cattivo sembrerà buono (per usare i termini coniati da Draghi). Ma se l’obiettivo è di aumentare la capacità di crescita del paese occorrerà fare investimenti buoni e riforme buone. E ancora non sappiamo quanto buoni siano i progetti del PNRR. Non solo mancano i dettagli (le schede), ma occorrerà tempo per valutare, per esempio, le scelte di investimento. I progetti non sembrano essere stati sottoposti a un’analisi costi-benefici, della cui importanza sembra che ormai ci siamo scordati, inebriati forse da un’improvvisa abbondanza di risorse (anche quelle derivanti dagli acquisti di BTP da parte della BCE) a cui non siamo abituati.
C’è poi una questione di implementazione. È difficile che riforme strutturali (la giustizia, la pubblica amministrazione, eccetera) siano implementate a pieno se non sono sostenute da una genuina volontà popolare di considerarle prioritarie. Occorre, come dice spesso la stessa Commissione Europea, “ownership”, un senso di proprietà da parte dell’opinione pubblica nazionale. La condizionalità del Piano (le risorse verranno erogate solo se certe azioni verranno compiute) non basta: si possono approvare leggi per ottenere le risorse e poi non implementarle. La realtà è che ancora non sappiamo quanto le riforme siano considerate prioritarie dai partiti e dall’elettorato. I partiti approverebbero ora qualunque cosa presentata da Draghi. E agli elettori nulla è stato chiesto. Questo PNRR non è il risultato di un mandato popolare emerso da un’elezione politica. Certo, finché c’è Draghi le cose andranno avanti. Ma quanto durerà il governo Draghi? Un anno? Due? Al più tardi a inizio 2023 si vota. E sarà in occasione delle prossime elezioni che si vedrà cosa il popolo italiano pensa davvero. Sosterrà chi vuole portare a compimento il Piano? O cederà alle lusinghe di chi promette mari e monti, come spesso è accaduto in passato?
Riassumendo, con tutti questi finanziamenti dall’Europa, nel prossimo paio d’anni non ci saranno problemi. Se battiamo il virus la ripresa ci sarà e continuerà finché durano i finanziamenti europei (il che però richiede che l’inflazione, che comincia a dare segni di risveglio, resti bassa, altrimenti la BCE dovrà stringere i cordoni della borsa). Quello che accadrà poi, ancora non lo si può dire.