Università Cattolica del Sacro Cuore

Debito pubblico, macigno per l’Italia fra tre anni 100 punti più dei tedeschi

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 13 aprile 2021

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Il Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale (FMI) pubblicato qualche giorno fa presenta un quadro aggiornato e completo dell’andamento dei conti pubblici del mondo. In quanto segue però mi limito a qualche considerazione sugli sviluppi della finanza pubblica nei paesi avanzati. Concludo che il divario crescente tra livelli del debito nel Nord e nel Sud Europa potrebbe causare in futuro tensioni da non sottovalutare nell’area dell’euro.

Come sappiamo, la crisi Covid ha fatto crescere i deficit pubblici di tutti i paesi avanzati. Il livello del deficit resta però molto diverso da paese a paese. Si possono identificare tre principali gruppi. Il primo è quello dei paesi che hanno portato il deficit nel 2020 a livelli ben superiori al 10 per cento del Pil. Sono quattro: Israele, Regno Unito, Giappone e Stati Uniti. In quest’ultimo il deficit ha sfiorato il 16 per cento del Pil, un valore superato in precedenza solo tra il 1943 e il 1945. Il secondo gruppo comprende paesi con un deficit intorno al 10 per cento: qui si colloca l’Italia, insieme ad altri paesi “mediterranei” (Francia, Grecia, Spagna). Il terzo gruppo comprende paesi con deficit molto più bassi, tra il 3 e il 6 per cento del Pil. Qui stanno Svizzera, Corea del Sud, e tutti i paesi “nordici” (Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Olanda). Ci sta pure il Portogallo, seppure su valori tra i più alti del gruppo (6 per cento). Queste differenze tra gruppi di paesi riflettono tre circostanze. Primo, il punto di partenza: paesi che già prima della crisi avevano un deficit basso o, come Germania e Olanda, erano in surplus, hanno tenuto meglio lo shock. Secondo, la caduta del Pil: dove il Pil è caduto di più le entrate dello stato hanno maggiormente sofferto e la spesa è aumentata più rapidamente. Terzo, probabilmente, hanno pesato fattori culturali: insomma, la Germania è stata come sempre molto prudente.

Ma, qualunque siano le cause, il diverso andamento del deficit pubblico nel 2020 e, come previsto dal FMI, nel 2021 alimenterà una maggiore divergenza tra i debiti pubblici dei vari paesi. Tale divergenza potrebbe diventare problematica particolarmente dell’area dell’euro. Nel biennio, il FMI prevede un aumento del debito pubblico di 9 punti percentuali per la media di Finlandia, Germania e Olanda, contro 21 punti percentuali in media per Francia, Italia, Grecia e Spagna, che già partivano con un debito più alto. Questi andamenti proseguirebbero negli anni a venire. Cosa accadrà, per esempio, al debito pubblico italiano rispetto a quello tedesco? Il divario tra debito italiano e tedesco, già sui massimi storici nel 2019 (75 punti percentuali) raggiungerebbe i 92 punti percentuali nel 2024 (62 per cento per la Germania contro 154 per cento per l’Italia).

Questa divaricazione tra paesi del Nord e paesi del Sud nell’andamento del debito pubblico renderà molto difficile trovare un accordo su come le regole del patto di stabilità dovranno essere modificate e su quando debbano rientrare in vigore. Ma il vero problema è che le enormi differenze nel livello di debito pubblico tra i paesi dell’area euro li rende diversamente vulnerabili a un aumento dei tassi di interesse causato da una futura impennata dell’inflazione media dell’area (l’obiettivo dell’azione della BCE). Se l’inflazione aumentasse, soprattutto nei paesi che, come la Germania, sembrano avviarsi verso un’uscita anticipata dalla crisi, questi paesi spingerebbero per un aumento dei tassi di interesse: non li preoccuperebbero gli effetti di tale aumento sul proprio debito pubblico, visto il suo modesto livello. Per i paesi del Sud, invece, un aumento dei tassi di interesse avrebbe effetti molto pesanti. È vero che l’aumento del debito pubblico nel biennio Covid è stato soprattutto nei confronti della BCE e, legalmente, delle banche nazionali (è la Banca d’Italia che compra il 90 per cento dei BTP acquistati dal sistema europeo delle banche centrali). Questo implica che, finché tali titoli restano in possesso delle banche nazionali, l’aumento dei tassi di interesse non tocca i bilanci pubblici (perché i profitti delle banche nazionali sono in gran parte passati agli stati). Ma se l’inflazione aumentasse la BCE potrebbe dover ridurre la detenzione di tali titoli per riassorbire la liquidità creata in eccesso nel biennio Covid. Un aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse potrebbe quindi gravare in modo anche più forte che in passato sul debito dei vari paesi e generare tensioni crescenti. È un rischio da non sottovalutare.

A questo punto dovrei rassicurare il lettore dell’esistenza di una facile soluzione. Se i paesi del Sud, in primis l’Italia, fanno riforme per rilanciare su base stabile la crescita del Pil (e quindi delle entrate dello stato) i conti pubblici si possono sistemare più facilmente. Da qui l’importanza del prossimo PNRR, eccetera, eccetera. Non mi dilungo. L’ho ripetuto tante volte. Ma la questione non sarà quello di mandare a Bruxelles un piano bellissimo. Non ho dubbi in proposito. La questione sarà realizzarlo nei prossimi anni. Non possiamo permetterci errori, anche per i motivi di cui sopra.

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