Il piano Yellen di tassazione minima dei profitti societari
di Luca Brugnara
21 aprile 2021
Il 5 aprile 2021, il segretario del tesoro americano Janet Yellen ha lanciato la proposta di tassazione minima globale del 21 per cento per i redditi delle società, che con molta probabilità approderà al tavolo del prossimo G20 in programma a Venezia tra il 7 e l’11 luglio. Il governo americano mira a contrastare la corsa al ribasso della tassazione sulle società ormai in corso da decenni per effetto della globalizzazione.
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Negli ultimi 40 anni le aliquote sul reddito delle società sono costantemente diminuite nelle economie avanzate: tra i paesi OCSE l’aliquota media è passata dal 47,8 al 23,7 per cento nel periodo 1983-2020 (Fig. 1). L’incapacità di tassare adeguatamente i redditi societari è dovuta in gran parte al fenomeno della concorrenza fiscale: molti paesi hanno infatti iniziato ad abbassare le loro aliquote per attirare capitali e investimenti diretti esteri.
L’abbassamento delle aliquote di tassazione, soprattutto in alcuni piccoli paesi, ha anche incentivato il fenomeno del cd. profit shifting, ovvero la strategia di elusione fiscale adottata da quelle multinazionali che spostano i loro redditi negli stati dove vige il regime fiscale più vantaggioso. Secondo i ricercatori delle Università di Berkeley e Copenaghen, oltre il 40 per cento dei profitti delle multinazionali vengono spostati in maniera fittizia nei paradisi fiscali, generando una perdita di introiti fiscali sui redditi di società pari a 200 miliardi di dollari all’anno.[1]
Gli sforzi precedenti dell’OCSE
Fino ad ora gli sforzi della comunità internazionale hanno mirato a ridurre l’elusione, ossia il fittizio spostamento dei profitti verso paesi a tassazione bassa. A questo fine nel 2013 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha avviato i lavori del progetto BEPS (“Base Erosion and Profit Shifting”). Questa azione è stata focalizzata soprattutto sul vincolare i cosiddetti “transfer prices”, i prezzi che servono a regolare transazioni tra imprese dello stesso gruppo, la cui manipolazione era uno dei principali modi per trasferire profitti da un paese all’altro. Altri approcci sono stati considerati per giungere a una più realistica allocazione dei profitti (per esempio sulla base di formule relative alla localizzazione del personale o delle vendite, il cosiddetto “formulaic approach” usato anche negli Stati Uniti per allocare i profitti tra diversi stati).
Solo più recentemente le discussioni in ambito OCSE hanno iniziato a riguardare quello che è il problema che rende conveniente gli sforzi elusivi, ossia l’esistenza di livelli di tassazione particolarmente bassi in certi paesi. In effetti, il problema della corsa al ribasso della tassazione sui profitti esisterebbe anche in assenza di elusione. La possibilità di riallocare, anche in modo non fittizio, l’attività produttiva da un paese all’altro rende conveniente cercare di attirare imprese da altri paesi. Da qui la “concorrenza” tra stati che ha determinato l’abbassamento della tassazione sulle società al crescere della globalizzazione. Insomma, il problema è che si sono globalizzate le attività economiche ma la capacità impositiva è ancora interamente a livello nazionale.[2]
I motivi della proposta USA
Il piano Yellen si articola su tre punti principali. Primo, è prevista una modifica delle aliquote impositive sui redditi societari, che dovrebbero salire dal 21 al 28 percento. Tale aumento è giustificato dalla necessità di finanziare il piano di rinnovamento infrastrutturale che verrà discusso nei prossimi mesi dal congresso americano e che dovrebbe comportare un sensibile aumento della spesa federale. In termini più generali, le nuove aliquote sui redditi societari sono anche finalizzate a bilanciare la composizione degli introiti fiscali: gli Stati Uniti sono infatti tra i Paesi OCSE con le entrate fiscali dai profitti societari in rapporto al PIL più bassi (Fig. 2).
Secondo, l’aumento della tassazione sui redditi societari statunitensi è accompagnata da una stretta sulle attività estere delle multinazionali statunitensi: il piano Yellen prevede l’abolizione delle esenzioni fiscali sui profitti delle attività estere - che ammontano attualmente al 10 percento – e un aumento delle aliquote sugli stessi dal 10,5 al 21 percento.[3]
Terzo, viene proposto che i paesi OCSE si impegnino ad avere una aliquota di tassazione minima del 21 per cento, più bassa di quella americana per i profitti interni, ma in linea con quella che verrà introdotta negli Stati Uniti sui profitti esteri.
Una tassazione minima globale sui redditi d’impresa ridurrebbe quindi il rischio che l’aumento delle tasse negli Stati Uniti porti a una fuga delle imprese americane verso l’estero, vera o fittizia che sia. Fra l’altro, il fenomeno delle esterovestizioni – ovvero la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società - ha assunto una dimensione rilevante (Fig. 3). Le riforme fiscali adottate da Trump nel 2017, e nello specifico il taglio dell’aliquota fiscale sui redditi delle società dal 35 al 21 per cento, hanno ridotto il numero di esterovestizioni, ma il nuovo aumento proposto da Biden potrebbe rendere più frequente questo fenomeno.[4]
La posizione europea
La global minimum tax ha raccolto consensi anche presso la Commissione Europea: il portavoce Dan Ferrie ha infatti auspicato l’adozione di una tassazione minima per i redditi di società, rimarcando però che la commissione europea lavorerà per far sì che le aliquote fiscali vengano determinate nell’ambito di discussioni tra paesi in sede OCSE. La strada per un pieno supporto europeo appare comunque in salita: le aliquote dell’imposta sulle società all’interno dell’Unione Europea variano dal 9 per cento in Ungheria al 32 per cento in Francia ed il potere di veto dei singoli stati membri in materia di tassazione può rendere impossibile il sostegno alla proposta Yellen. È noto, per esempio che Irlanda e Olanda sono tra i paesi che hanno accolto il maggior numero di ricollocazioni di società statunitensi e un’imposta minima globale comporterebbe un’ingente perdita di gettito fiscale per questi stati europei.[5]
I tentativi di armonizzazione fiscale a livello comunitario si sono quasi sempre risolti in un nulla di fatto per le ragioni sopra elencate. L’attuale presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen aveva inserito nella sua Agenda per l’Europa – il programma d’indirizzo per il quinquennio 2019/2024 - il tema dell’equità fiscale, chiedendo una riforma dei regimi europei e internazionali d’imposta sulle società.[6] Il suo appello tuttavia è stato finora disatteso: gli Stati membri dell’Unione hanno aliquote medie effettive sulle società fortemente diverse, che si sono per giunta ridotte costantemente negli anni per via della corsa al ribasso fiscale. In quest’ottica si spiega anche la mancata approvazione della riforma volta a istituire la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società: proposta per la prima volta dalla commissione Europea nel 2011, essa non è mai stata approvata per l’opposizione degli stati membri che utilizzano regimi fiscali particolarmente convenienti per le imprese.
Conclusioni
L’adozione di un minimum tax rate rappresenterebbe un’innovazione positiva, sia perché è volta a ripristinare il principio di equità fiscale, sia perché rimuove alcuni dei meccanismi distortivi nelle scelte delle imprese. Tuttavia, tale misura rappresenta solo un primo passo per il raggiungimento di un’effettiva armonizzazione dei sistemi fiscali delle economie avanzate: l’imposizione di un’aliquota nominale minima potrebbe generare effetti nulli senza un progetto volto ad uniformare le basi imponibili e a garantire che i tax rate effettivi non si scostino troppo da quelli nominali.
[1] T. Tørsløv e L. Wier (2020) “The Missing Profits of Nations”. Le stime degli autori riportano un ammontare pari a 700 miliardi di dollari di profitti che vengono spostati ogni anno verso i paradisi fiscali. Questi 700 miliardi, a causa delle aliquote minori applicate, generano una perdita di introiti fiscali stimata intorno ai 200 miliardi. I paradisi fiscali europei (Andorra, Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Monaco, Olanda) ricevono circa 318 miliardi di profitti che sono in realtà generati in altri stati con tassazioni meno vantaggiose (https://missingprofits.world/).
[2] In realtà le proposte discusse in sede OCSE non sono state mirate a definire un livello di tassazione minima sui profitti societari per tutte le imprese operanti in un paese, ma solo a fare in modo che le grandi imprese multinazionali dovessero pagare un livello minimo di tassazione: “Pillar Two addresses remaining BEPS challenges and is designed to ensure that large internationally operating businesses pay a minimum level of tax regardless of where they are headquartered or the jurisdictions they operate in. It does so via a number of interlocking rules that seek to (i) ensure minimum taxation while avoiding double taxation or taxation where there is no economic profit, (ii) cope with different tax system designs by jurisdictions” (OCSE Blueprint)
[3] “The Made in America tax plan would eliminate the incentive to offshore tangible assets by ending the tax exemption for the first 10 percent return on foreign assets. […] The plan would also increase the GILTI minimum tax to 21 percent”.
[5] https://www.reuters.com/article/us-usa-treasury-yellen-eu-idUSKBN2BT1YG; Inoltre, per il numero di esterovestizioni, si veda il report di Bloomberg “Tracking the Tax Runaways”. 28 delle 85 esterovestizioni statunitensi avvenute tra il 1983 e il 2018 hanno avuto come destinazione l’Irlanda e l’Olanda.
[6] Citazione testuale: “I regimi europei e internazionali di imposta sulle società devono essere riformati urgentemente, perché non sono consoni alle realtà dell’economia globale moderna e non tengono conto dei nuovi modelli di business del mondo digitale. Intendo sostenere l’equità fiscale, sia per le imprese tradizionali che per quelle digitali. Farò in modo che la tassazione delle grandi imprese tecnologiche sia una priorità.” https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/political-guidelines-next-commission_it.pdf