Università Cattolica del Sacro Cuore

Dai dati Istat alcune novità sullo stato di salute dei conti pubblici

di Pietro Mistura, Raffaela Palomba e Federica Paudice

3 marzo 2020

Secondo la relazione Istat sui conti economici nazionali il rapporto debito pubblico/Pil è rimasto invariato nel 2019 rispetto al 2018 attestandosi al 134,8 per cento. Sorprendente è il calo del deficit all’1,6 per cento del Pil dal 2,2 per cento nel 2018, grazie all’aumento della pressione fiscale al 42,4 per cento. Sul lato meno positivo, l’Italia resta uno dei pochi paesi al mondo dove il differenziale tra tasso di interesse medio sul debito pubblico e tasso di crescita del Pil, una delle principali variabili che influenza l’andamento del rapporto tra debito pubblico e Pil, resta ampiamente positivo

* * *

L’Istat ha pubblicato il rapporto sui conti economici nazionali riferiti al 2019, in cui, tra le altre cose, vengono forniti i dati consuntivi riguardo i principali indicatori di finanza pubblica.[1]

Con riferimento a questi ultimi, il dato che salta maggiormente all’occhio è la riduzione del deficit dal 2,2 per cento del 2018 all’1,6 per cento del 2019. È sicuramente un dato positivo anche nel quadro delle regole europee, se si pensa alle lunghe contrattazioni tra Governo e Commissione Europea per giungere all’accordo sul 2,04 per cento.

Il rapporto debito pubblico/Pil è rimasto invariato rispetto all’anno precedente confermandosi al 134,8 per cento, che resta un livello decisamente alto. L’aumento del debito in euro è stato quest’anno quasi identico al deficit, interrompendo la lunga striscia di anni in cui il debito era cresciuto più rapidamente del deficit. [2]

Il surplus primario (la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) nel 2019 è aumentato di 0,2 punti percentuali rispetto al 2018, raggiungendo l’1,7 per cento del Pil. Un surplus così positivo non veniva rilevato dal 2013, anno in cui si registrò un saldo del 2 per cento (si veda Figura 1). Il miglioramento del saldo primario è spiegato dal forte aumento della pressione fiscale che nel 2019 è cresciuta dal 41,9 per cento al 42,4 per cento (si veda Tavola 1).

Nello specifico, le entrate correnti sono aumentate del 2,8 per cento rispetto al 2018, con un incremento del 3,4 per cento delle imposte dirette come l’IRPEF e l’IRES e dell’1,4 per cento delle imposte indirette, soprattutto l’IVA. Quest’ultimo dato appare particolarmente significativo, soprattutto alla luce del modesto aumento dei consumi (0,8 per cento in termini nominali). L’aumento della pressione fiscale in assenza di principali aumenti delle aliquote di tassazione riflette probabilmente l’introduzione di misure di lotta all’evasione fiscale. Di queste meritano particolare menzione la fatturazione elettronica e gli ISA (Indici sintetici di affidabilità), quest’ultimi introdotti nel 2017 ed entrati in vigore l’anno scorso.[3] Anche se alcune componenti altamente volatili (le entrate da tassazione di attività finanziarie) hanno influito positivamente sulle entrate nel 2019, è prevedibile che gli effetti positivi in termini di entrate permangano nel tempo rafforzando le prospettive per le entrate nel 2020 (facilitando così l’assorbimento delle perdite di entrate causate dal rallentamento economico a seguito del Coronavirus).

Il tasso di crescita dalla spesa totale della pubblica amministrazione è dell’1,6 per cento rispetto a una media dell’1 per cento nei precedenti tre anni e inoltre è superiore alla crescita del Pil nominale (1,2 per cento). All’interno di questo aumento spicca la crescita della spesa per prestazioni sociali in denaro, in aumento del 3,7 per cento, variazione attribuibile principalmente all’introduzione delle misure Quota 100 e Reddito di Cittadinanza.

La spesa per interessi passivi è scesa del 6,7 per cento, una discesa più forte di quella rilevata nel 2018 (1,3 per cento). Tale minore spesa per interessi è dovuta al calo dei tassi di interesse dopo il passaggio dello spread da 254 punti base a fine 2018 a 160 a fine 2019.

Il differenziale tra tasso di interesse medio sul debito pubblico e tasso di crescita nominale, una variabile fondamentale, insieme all’avanzo primario, per spiegare l’andamento del rapporto tra debito pubblico e Pil, resta positivo e in aumento dal 2017 nonostante la forte riduzione della spesa per interessi (vedi Figura 2). L’Italia resta purtroppo una delle poche economie avanzate a presentare un valore positivo del differenziale.

Tav. 1: Aggregati di finanza pubblica
(dove non indicato valori in percentuale)

 

2016

2017

2018

2019

Deficit*

40.765

42.460

38.844

29.301

Deficit/Pil

2,4

2,4

2,2

1,6

Saldo primario*

25.623

22.997

25.777

31.004

Saldo primario/Pil

1,5

1,3

1,5

1,7

Debito*

2.285.316

2.329.025

2.380.578

2.409.245

Debito/Pil

134,8

134,1

134,8

134,8

Pressione fiscale

42,2

41,8

41,9

42,4

*valori in milioni

 

 

 

 

Fonte: dati Istat

 

 

 

 

 


[2] Nella nota dell’Osservatorio CPI https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-debito-pubblico-cresce-ma-meno-del-previsto era stato indicato un valore fortemente negativo dell’aggiustamento stock-flussi (cioè la differenza tra l’aumento del debito e il deficit). Ciò era dovuto all’utilizzo nel calcolo della previsione del deficit per il 2019 contenuta nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza pubblicata lo scorso ottobre, l’ultima previsione ufficiale precedentemente disponibile.

[3] Gli indici sintetici di affidabilità vengono utilizzati per verificare la normalità e la coerenza dello svolgimento dell’attività lavorativa e si basano su dichiarazioni spontanei del contribuente e meccanismi premiali.

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