Come vengono ripartite tra le regioni le risorse del Fondo Sanitario Nazionale?
di Federica Paudice[1]
23 settembre 2020
Corrono varie voci su come vengono ripartite tra le regioni le risorse del Fondo Sanitario Nazionale. La realtà è che la ripartizione avviene in base alla popolazione delle varie regioni corretta per l’anzianità. L’attuale schema genera controversie tra regioni, alcune delle quali sottolineano la necessità di tener conto anche di altri fattori quali la deprivazione sociale. Tuttavia bisogna considerare che uno schema che includa la deprivazione sociale richiede una conoscenza dettagliata delle realtà territoriali e una coordinazione tra i diversi ambiti di assistenza che svolgono attività complementari ma che hanno canali di finanziamento separati (ad esempio l’assistenza sociale) evitando così sovrapposizioni.
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Come sono ripartite tra le regioni le risorse del Fondo Sanitario Nazionale (FSN)? Esistono forti differenze tra quanto ricevono le regioni in termini pro-capite. Per esempio, nella ripartizione iniziale del FSN per il 2020, la Liguria ha percepito 127 euro pro capite sopra la media nazionale, il Molise 56 euro, la Basilicata 37 euro. Sotto la media si trovano invece la Sicilia (meno 39 euro), la provincia di Trento (meno 41 euro), quella di Bolzano (meno 72 euro) e la Campania (meno 59 euro) (Tav.1). Queste diversità creano controversie. Per esempio, il Governatore della Campania lo scorso anno ha affermato "Siamo partiti 10/15 anni fa adottando due criteri per il riparto: l'anzianità della popolazione e la deprivazione sociale. La Campania ha la popolazione più giovane d’Italia e riceve di meno rispetto alla Liguria con più anziani. Il secondo criterio è stato dimenticato del tutto nel corso degli anni. Per cui noi subiamo un taglio strutturale di 300 milioni in maniera irrazionale". Sempre secondo De Luca, la Campania ha una popolazione relativamente giovane, tuttavia presenta una forte incidenza di patologie infantili e giovanili (obesità, problemi alimentari, alcolismo e tossicodipendenza).[2]
In realtà la deprivazione sociale, intesa come misura di svantaggio in termini di istruzione, lavoro, abitazione e condizioni familiari, non è mai stata inserita tra i criteri di riparto del FSN.[3] Dal 1978 (anno di istituzione del FSN) ad oggi l’ammontare totale da destinare al Fondo è stato determinato in base a scelte di bilancio, partendo dalla spesa dell’anno precedente e incrementandola a seconda delle risorse disponibili.[4] La ripartizione di questo totale tra le regioni ha seguito diversi schemi. Quello introdotto nel 1996 mostrava una certa attenzione per le realtà territoriali, non utilizzando comunque un indice di deprivazione sanitaria. Con esso, infatti, la spesa pro-capite dipendeva non solo dalla frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso (criterio che di fatto rimanda alla spesa storica), ma anche indici di fabbisogno sanitario locale, quali tassi di mortalità, indicatori relativi a particolari situazioni territoriali ed indicatori epidemiologici territoriali.[5] I criteri di riparto furono a lungo al centro del dibatto e le modifiche che seguirono allo schema furono di fatto il frutto della negoziazione tra Stato e Regioni.
Lo schema attuale introdotto nel 2011 considera solo, per la determinazione della spesa pro-capite, la composizione anagrafica della popolazione. Da sottolineare che, in realtà, il sistema attuale include formalmente, per la determinazione del totale del FSN e della stessa ripartizione tra regioni un approccio basato sui cosiddetti costi standard: vengono determinate ogni anno le tre regioni “migliori” che fissano lo standard di costo per fornire i livelli essenziali di assistenza. In teoria, le risorse attribuite a tutte le regioni dovrebbero essere basate proprio su tali standard. Tuttavia, in pratica, le formule utilizzate per il riparto del FSN fanno sì che tali costi diventino irrilevanti (vedi allegato per i dettagli).
La necessità di introdurre il criterio della “deprivazione sociale” a cui faceva riferimento il governatore della Campania è una questione controversa sulla quale si è espresso recentemente, in senso favorevole, anche il Ministro della salute.[6] Tuttavia bisogna considerare che uno schema che includa la deprivazione sociale richiede una conoscenza dettagliata delle realtà territoriali e una coordinazione tra i diversi ambiti di assistenza che svolgono attività complementari ma che hanno canali di finanziamento separati (ad esempio l’assistenza sociale) evitando così sovrapposizioni.
Allegato
Il sistema di riparto contenuto nel d.lgs. n. 68/2011 e in vigore ad oggi prevede l’individuazione di tre regioni benchmark dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque indicate dal Ministro della salute in quanto migliori e che hanno garantito i LEA in condizioni di equilibrio economico, ovvero in condizioni di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite a livello nazionale (art. 27).[7] Si determina, sulla base di queste regioni, il costo standard per ciascun macro livello di assistenza (collettiva, distrettuale e ospedaliera) come “media pro capite pesata del costo registrato dalle Regioni di riferimento”, dove per “pesata” si intende aggiustata per la composizione anagrafica.[8] Il costo standard delle regioni benchmark viene applicato alla popolazione pesata delle singole regioni per ottenere così il fabbisogno standard, infine la quota da destinare alla singola regione è data dal rapporto tra il fabbisogno della regione stessa ed il fabbisogno nazionale standard (ovvero la somma dei fabbisogni regionali). La quota finale, in realtà, dipende unicamente dall’anzianità della popolazione residente nella regione rapportata a quella delle altre regioni italiane. Infatti, i costi standard, ovvero i costi sostenuti dalle regioni benchmark, non sono altro che una costante moltiplicativa presente sia al numeratore che al denominatore della formula per la determinazione della quota da destinare, pertanto il risultato è indipendente dalle regioni scelte.[9]
Le regioni ordinarie e la Sicilia possono inoltre ottenere un maggior finanziamento che consiste in una quota premiale, ma questa è di importo modestissimo rispetto al totale delle risorse (nel 2020 rappresenta lo 0,25 per cento del totale del Fondo). Per accedervi sono tenute ad una serie di adempimenti contenuti nell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, la cui verifica viene svolta dal Comitato LEA al quale è affidato il compito di monitorare l’erogazione dei LEA.
[1] Si ringrazia il Professor Gilberto Turati per i suggerimenti forniti.
[4] Il FSN è stato istituito con la Legge n.883 del 23 dicembre 1978.
[5] Legge n.662/1996, art.1, comma 34.
[7] Per LEA si intendono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket)