Università Cattolica del Sacro Cuore

Alcune implicazioni dell'immigrazione per i conti pubblici

di Carlo Valdes

24 settembre 2018

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I Documenti di Economia e Finanza del 2017 e del 2018 (Tavola 1) indicano che il costo annuo della c.d. emergenza  migranti è aumentato dagli 840 milioni di euro del 2011 ai 4,4 miliardi del 2017 (valori a prezzi correnti), pari allo 0,56 per cento della spesa pubblica primaria, che ammontava nel 2017 a 778 miliardi.  In particolare, i costi per il soccorso in mare sono aumentati dai 249 milioni del 2011 ai 781 milioni del 2017. Le spese per accoglienza sono aumentate dai 306 milioni del 2011 ai 3 miliardi del 2017. Il resto della spesa è da imputare a sanità e istruzione, i cui costi sono aumentati dai 286 milioni del 2011 ai 589 milioni del 2017 (Figura 2).

In media, circa il 90 per cento delle spese registrate tra 2011 e 2017 sono spese correnti, con un totale cumulato pari a oltre 14,4 miliardi in 7 anni. Le spese in conto capitale rappresentano il restante 10 per cento, pari a un cumulato di 1,5 miliardi nello stesso periodo.

 

Nel DEF dell’aprile 2018 le previsioni di spesa per il 2018 ammontano a 4,6 miliardi di euro. Tuttavia, a seguito della diminuzione delle presenze di migranti registrate nelle strutture di accoglienza da ottobre 2017 a oggi (Appendice, Figura 1.A), la spesa complessiva annua potrebbe registrare per la prima volta un calo.[1] L’Osservatorio CPI stima che, se il trend delle presenze mensili dovesse rimanere inalterato (la riduzione media mensile registrata nei mesi per cui sono disponibili i dati è di 3.506 unità), a fine 2018 la spesa totale potrebbe attestarsi tra i 3,4 e i 3,6 miliardi, circa 800-1.000 milioni in meno rispetto al 2017 e 1-1,2 miliardi in meno rispetto a quanto previsto nel DEF (Figura 1). Il calo è attribuibile principalmente alle minori spese di accoglienza che potrebbero attestarsi tra i 2 e i 2,1 miliardi a fine 2018. A sua volta, la riduzione delle presenze nei centri di accoglienza è attribuibile alla drastica diminuzione degli sbarchi (-80 per cento nei primi 8 mesi del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). 

 

 

 

 

Il contributo dato alle spese per l’emergenza migranti dall’Unione Europea è stato molto contenuto, passando dai 56 milioni del 2011 ai 77 milioni del 2017, con un picco di 121 milioni nel 2016. La media del contributo tra 2011 e 2017 è stata del 5 per cento rispetto alla spesa totale e del 12 per cento rispetto alla sola spesa per accoglienza. Il contributo stimato nel DEF per il 2018 è pari a 80 milioni di euro.[2]

Il costo per migrante

Sulla base di dati raccolti presso le prefetture italiane, la Corte dei Conti ha recentemente indicato che il costo giornaliero per migrante nel periodo di “prima accoglienza” sarebbe di circa 30-35 euro, mentre quello nel periodo della “seconda accoglienza” sarebbe di circa 32,9 euro.[3] In queste somme rientrano le spese sostenute per operatori professionali impiegati nell’accoglienza, costi di gestione amministrativa, pocket money, scheda telefonica, fornitura di farmaci, kit igienico mensile, vestiario, pasti e alimenti. Non sono invece compresi costi aggiuntivi indiretti, quali le spese di trasporto e le spese per la forza pubblica.[4] Fanno differenza rispetto a questi numeri i soli costi per i minori stranieri non accompagnati (nel gergo tecnico MSNA) per i quali il costo pro capite giornaliero è pari a 45 euro. Gli ultimi interventi normativi significativi a proposito dei costi giornalieri dell’accoglienza sono del 2017, quando il Ministero dell’Interno, con DM 3 marzo 2017, ha definito il nuovo schema di capitolato d’appalto per le strutture d’accoglienza.

Purtroppo non è possibile confrontare la spesa per migrante con quella degli altri paesi dell’Unione Europea. Gli unici dati disponibili provengono da un documento dello European Migration Network di agosto 2017 che riporta le risposte di 21 paesi membri alla domanda su quale fosse il costo medio giornaliero sostenuto per richiedente asilo. Ma il documento fornisce dati incompleti (riferisce infatti le spese dei soli richiedenti asilo) e non facilmente comparabili (le risposte dei singoli paesi tengono conto di voci di spesa differenti. Per esempio, alcuni paesi tengono conto delle spese sanitarie, mentre altri no).[5]

Immigrati che lavorano e andamento dei conti pubblici

Gli immigrati regolarmente occupati pagano tasse e beneficiano di servizi pubblici come i non immigrati. È in proposito utile andare a vedere un aspetto particolare del contributo alle finanze pubbliche degli immigrati, quello relativo ai conti dell’INPS, il cui presidente nel luglio 2017 ha dichiarato che attualmente i migranti offrono un contributo netto annuo pari a circa 5 miliardi (8 miliardi di contributi sociali versati contro 3 miliardi di prestazioni pensionistiche e assistenziali ricevute).[6] Questo contributo netto al sistema pensionistico riflette naturalmente il fatto che il numero di immigrati in pensione è attualmente ancora basso. Detto questo, in una prospettiva storica, il XVI rapporto annuale dell’INPS indica che il saldo cumulato tra contributi versati e benefici maturati da lavoratori stranieri tra il 1960 e il 2016 è positivo. I contributi rivalutati e cumulati al 2016 risultavano pari a 181,1 miliardi di euro, a fronte di un valore attuale delle prestazioni pensionistiche accumulate pari a 144,6 miliardi.[7]

Guardando in avanti, la previsione di base sull’andamento del rapporto tra spesa pensionistica e Pil contenuto nell’ultimo rapporto sulle Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario (luglio 2018), preparato dal Ministero dell’Economia e della Finanze, prevede un flusso netto di immigrati che si stabilizzano in Italia pari a 165.000 unità l’anno.[8] Questo afflusso contribuisce a mantenere relativamente stabile la spesa pensionistica rispetto al Pil nei prossimi decenni, nonostante il persistere di una tendenza ad un calo demografico della popolazione residente. Da notare che questo flusso migratorio avviene parallelamente a una maggiore partecipazione al lavoro dei residenti: lo scenario di base assume che il tasso di disoccupazione in Italia si riduca dal 9,7 al 5,6 per cento tra il 2020 e il 2050, e che il tasso di occupazione (percentuale di residenti al lavoro rispetto al totale di residenti in età lavorativa) aumenti nello stesso periodo dal 59,2 al 66,7 per cento. L’afflusso di immigrati contribuirebbe semplicemente a compensare il basso tasso di fecondità in Italia (nonostante il numero di figli per donna sia ipotizzato crescere dall’attuale 1,34 all’1,55 del 2050). Naturalmente, nel caso in cui il tasso di fecondità in Italia aumentasse più rapidamente di quanto ora ipotizzato, da qui a 20-30 anni le prospettive del sistema pensionistico inizierebbero a migliorare e sarebbero necessari afflussi minori di migranti per sostenerlo.

Gli scenari mostrano anche che effetto avrebbe una riduzione del flusso netto di immigrati sul rapporto tra numero di pensioni erogate e occupati (Figura 3). La riduzione del flusso di immigrati di un terzo all’anno porterebbe nel 2050 il rapporto tra numero di pensioni e occupati dal 90 al 94 per cento. In altre parole, il numero di pensioni da pagare ogni 100 occupati salirebbe da 90 a 94.[9]

 

 

 

Anche un’analisi presentata nel Rapporto Annuale dell’INPS di luglio 2017 ci illustra, da un altro punto di vista, la sensitività dei conti dell’INPS a un calo degli immigrati regolarmente inseriti nel mercato del lavoro. L’analisi mostra che una riduzione media annua del 5 per cento della presenza di lavoratori extra-comunitari porterebbe, nel 2040, minori entrate cumulate pari a 72,5 miliardi e minori oneri previdenziali pari a 35,1 miliardi, con un impatto negativo di 40 miliardi (1,8 punti percentuali di Pil del 2040). Questo impatto negativo sarebbe crescente nel tempo (Figura 4).

 

 

 

Appendice

 


[1] Ottobre 2017 è il primo mese per cui sono attualmente rese pubbliche le presenze mensili sul cruscotto statistico del ministero dell’interno. Per strutture d’accoglienza si intendono: strutture temporanee, Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), Cda (Centri di accoglienza) e Cpsa (Centri di primo soccorso e accoglienza), Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Hotspot (centri di identificazione e smistamento).

[2] Questi numeri sono leggermente diversi da quelli presentati in un documento della Commissione Europea di agosto 2018, che riporta un ammontare distribuito all’Italia tra il 2014 e il 2018 di 336 milioni di euro, minore di quello indicato nel DEF per lo stesso periodo (455 milioni). Non è chiaro da cosa derivino questi scostamenti. Occorre però tenere presente che le somme effettivamente distribuite sono solo una parte del totale stanziato per il periodo 2014-2020, pari a 873 milioni (si veda il documento della Commissione Europea “Managing migration - EU Financial Support to Italy”, agosto 2018). Per il 2018, l’ammontare di contributi a fine anno potrebbe risultare più alto di quello indicato nel DEF a causa dello stanziamento di ulteriori trasferimenti d’emergenza.

[3] Deliberazione 7 marzo 2018, n. 3/2018/G e Deliberazione 29 dicembre 2016, n. 19/2016/G. Il costo medio di 32,9 euro è stimato sull’anno 2014 e potrebbe aver subito lievi variazioni in aumento. La prima accoglienza comprende: Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), Centri di accoglienza (Cda), Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), Centri di identificazione (Cdi), Centri di assistenza straordinari (Cas) e Centri di espulsione (Cie). La seconda accoglienza è costituita invece dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). La seconda accoglienza “non è destinata alla assistenza immediata, ma all’integrazione sociale ed economica di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale”.

[4] Questi numeri sono coerenti con quelli usati dal MEF per le stime dei costi derivanti da flussi aggiuntivi di migranti (vedi DEF 2018, sez. I, pag. 56, Tavola R.1 e DEF 2017, sez. I, pag. 45, Tavola III.2): 32,5 euro al giorno per le presenze nelle strutture di accoglienza governativa e temporanee, 35 euro al giorno per richiedenti asilo e rifugiati aggiuntivi nel sistema di protezione e 45 euro per minori non accompagnati.

[5] La domanda esatta è “What is the average cost of reception per asylum seeker (social assistance, financial allowance for the applicant, accommodation)?”. Il documento è “EMN Ad-Hoc Query on Average cost and average length of reception for asylum seekers - Requested by FR EMN NCP on 4th August 2017”.

[6] Audizione del 20 luglio 2017 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattamento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate.

[7] Il valore di 181,1 miliardi è il valore minimo ottenuto nella stima dell’INPS. L’ammontare di contributi complessivi al 2016 può risultare maggiore utilizzando altri metodi di rivalutazione (vedi XVI Rapporto Annuale INPS, parte III).

[8] Stima per il periodo 2017-2065.

[9] Nello scenario base i flussi migratori netti previsti sono pari a 165 mila unità annue (periodo 2017-2065), con un incremento medio del 7 per cento. L’incremento medio è particolarmente elevato nei prossimi 20 anni (circa il 15 per cento) dove il flusso medio è previsto passare da 157 mila a 179 mila unità. Negli ultimi vent’anni il flusso migratorio netto è stato mediamente di 230 mila unità annue (280 mila negli ultimi 15 anni). Nello scenario base, quindi, è già previsto un ridimensionamento dei flussi futuri. La riduzione dei flussi migratori netti su cui sono calcolate le variazioni rispetto allo scenario base è di circa 54mila unità medie annue.

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