di Gianni Trovati
Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2020
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«Serve subito un intervento in deficit finanziato a livello europeo, perché lo shock economico è continentale. Per evitare una recessione, l’Europa avrebbe bisogno di un’espansione fiscale da almeno due punti di Pil, che sono per l’Italia 36 miliardi di euro». Carlo Cottarelli non è certo un tifoso del deficit facile. Come direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici della Cattolica promuove o firma analisi serrate che mettono in luce sprechi e occasioni mancate della nostra finanza statale e locale. «Ma il deficit - spiega - va fatto quando il colpo è forte, come accade ora».
Quale risposta dovrebbe arrivare dall’Europa?
Bisogna considerare che anche prima del Coronavirus l’economia europea nel suo complesso stava registrando un rallentamento, e che gli effetti dell’epidemia riguarderanno tutto il continente. In contesti come questi l’unica risposta possibile è un vasto programma di spesa in deficit, finanziato dal bilancio dell’Unione.
Unione che però sul nuovo budget si è incagliata nella consueta battaglia dei decimali.
Infatti sto parlando di ciò che dovrebbe succedere, non dico che sicuramente accadrà. Le cose però cambiano in fretta, e la dimostrazione arriva dall’esperienza del 2008-2009. In quell’occasione anche i Paesi che oggi si definiscono frugali, in aggiunta all’aumento automatico del deficit dovuto alla recessione, fecero un’espansione fiscale intorno ai due punti di Pil. Oggi bisogna prendere la stessa decisione, per finanziare per esempio un programma straordinario di investimenti infrastrutturali.
Gli eurobond possono essere uno strumento di finanziamento adeguato?
Si, servirebbe anche a creare un safe asset europeo. Gli eurobond potrebbero essere comprati anche dalla BCE col suo programma di Quantitative Easing. Ma li potrebbe comprare anche il mercato, anche a tassi negativi se l’Unione si dimostra in grado di mettere in atto un intervento credibile. Non fa molta differenza. La Bce potrebbe anche abbassare i tassi come ha fatto pochi giorni fa la Fed, ma ora è la politica fiscale più di quella monetaria a dover intervenire.
Se l’Europa non si sblocca, che cosa può fare l’Italia da sola?
Se l’Unione non concedesse spazi fiscali aggiuntivi dovremmo andare da soli a cercarceli sul mercato, ma la strada è molto complicata. Perché a differenza di altri Paesi noi non abbiamo sfruttato l’ultima fase di relativa tranquillità per sistemare i conti pubblici e avviare davvero la riduzione del debito, per cui ci presentiamo “scoperti” allo shock economico del Coronavirus. I Paesi del Nord hanno invece rimesso in ordine subito le loro finanze pubbliche, e proprio per questo oggi avvertono meno l’esigenza di un intervento europeo perché possono agire da soli. Noi no. Se ci muoviamo da soli, dobbiamo sperare che i mercati restino tranquilli.
C’è il rischio che gli interessi sui titoli di Stato tornino a volare?
Fino a venerdì in realtà l’aumento dello spread è stato determinato soprattutto dall’abbassamento dei rendimenti dei titoli tedeschi, oggetto di una pioggia di acquisti nella classica ricerca del bene rifugio che scatta nei momenti di incertezza. Oggi c’è stato un rialzo, ma siamo ancora a livelli sostenibili. Se però i tassi salissero al 3-4% perché l’Italia va da sola in un programma in deficit le cose si complicherebbero.
Per il momento il governo si è impegnato a confermare gli obiettivi di riduzione del deficit nel 2021-2022. È un impegno credibile?
Al momento qualsiasi stima sull’impatto della crisi sanitaria sull’economia è prematuro perché manca qualsiasi elemento solido, quindi è presto anche per capire le ricadute sui saldi di finanza pubblica. In linea di principio, però, l’aumento del deficit, anche se ampio, dovrebbe essere temporaneo.