Università Cattolica del Sacro Cuore

Programmi credibili per i fondi Ue

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 13 luglio 2020

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Si apre una settimana importante per l’economia italiana e per i nostri rapporti con l’Europa. Il Consiglio Europeo del 17-18 luglio ha in agenda, oltre che l’approvazione del bilancio dell’Unione Europea per il settennato 2021-27, la discussione e, si spera, l’approvazione del piano di finanziamenti europei per sostenere la ripresa economica (Recovery Fund alias Next Generation EU). Vale la pena di riassumerne le principali caratteristiche, chiarire quali sono i punti del contendere e, soprattutto, chiedersi cosa accadrà dopo l’approvazione del piano.

Quali sono le principali caratteristiche del piano? Il piano, proposto dalla Commissione Europea, prevede che l’Unione Europea tra il 2021 e il 2024 si indebiti per 750 miliardi di euro ed eroghi queste risorse ai paesi europei attraverso prestiti e trasferimenti a fondo perduto. Tre aspetti sono particolarmente rilevanti. Primo, i paesi che intendono richiedere i finanziamenti dovranno presentare programmi per spiegare come li utilizzeranno. Le risorse saranno erogate solo dopo l’approvazione del programma da parte della Commissione e del Consiglio Europeo e solo se certi obiettivi verranno raggiunti nella attuazione del programma. E’ quindi un meccanismo che comporta (absit iniuria verbis) “condizionalità”. Qualcuno dirà ora che ci portiamo la troika in casa? Beh, visto che il debito viene contratto in comune dai paesi dell’Unione Europea, mi sembra giusto che anche la decisione su come utilizzare i fondi sia presa in comune, o no? Secondo, all’Italia dovrebbero arrivare 150-170 miliardi in quattro anni, 40 miliardi l’anno in media, tra il 2 e il 2 e mezzo per cento del nostro PIL. Si tratta quindi di cifre elevate, ma una tantum: dovranno essere usate bene e per progetti che non comportino aumenti permanenti del deficit. Terzo, la differenza tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto è importante, ma non completa. Anche i finanziamenti erogati come trasferimenti a fondo perduto comporteranno negli anni a venire un flusso finanziario dai singoli paesi verso l’Unione Europea, visto che questa dovrà ripagare il prestito contratto. La Commissione ha proposto che tale prestito sia ripagato anche con nuove tasse europee (per esempio, una web tax), ma almeno una parte di queste tasse ricadrebbe comunque sui residenti europei. I trasferimenti a fondo perduto avrebbero quindi vantaggi (il debito pubblico dei singoli paesi non aumenterebbe subito, i paesi più colpiti dalla crisi riceverebbero più di quanto dovrebbero restituire), ma, rispetto ai prestiti, non sarebbe una differenza tra il giorno e la notte.

Quali sono i punti del contendere? Il primo è, appunto, il mix tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto. La Commissione aveva proposto 500 miliardi di trasferimenti e 250 di prestiti, ma i quattro paesi “frugali” (Svezia, Olanda, Austria e Danimarca) vorrebbero solo prestiti. Su questo si sono concentrati i media, ma, come ho detto, la differenza non è poi così abissale. Altri aspetti sono forse più importanti. Il presidente del Consiglio Europeo, il belga Michel, ha infatti proposto alcune modifiche al progetto inizialmente avanzato dalla Commissione. Tra queste c’è una modifica del processo decisionale che porterebbe all’erogazione dei finanziamenti. Verrebbe previsto un maggior peso del Consiglio europeo rispetto alla Commissione nell’approvazione del programma da finanziare. Inoltre, nel Consiglio le decisioni verrebbero prese con una “maggioranza qualificata”, ossia una maggioranza ben superiore al 50 per cento. Questo consentirebbe a gruppi di piccoli paesi di avere voce in capitolo nell’approvazione dei piani nazionali. E’ ovvio che questa proposta è stata introdotta per convincere i “frugali” ad approvare il piano, ma le conseguenze per l’Italia potrebbero essere rilevanti. Magari alcune delle idee dei “frugali” non sono da buttar via! Ma, al di là del merito delle possibili posizioni che i frugali potrebbero prendere in futuro, la sostanza è chiara: i piccoli paesi avrebbero un ruolo più sostanziale di quello giustificabile dalla loro dimensione in termini di popolazione.

Sono convinto che alla fine, forse non questa settimana, ma comunque presto, si troverà un compromesso e il Next Generation EU verrà approvato. Mi preoccupa però il prezzo politico che potrebbe dover essere pagato per raggiungere l’unanimità necessaria per approvare il piano. Quel prezzo potrebbe comprendere un rinvio di quell’armonizzazione della tassazione in Europa che sarebbe invece necessaria per evitare l’assurdo vantaggio che i paesi medio-piccoli (tra cui l’Olanda) hanno attualmente nel praticare livelli di tassazione particolarmente bassi. Purtroppo, visto il bisogno che ha l’Italia di un accordo, non possiamo fare in proposito la voce troppo grossa. Lo potremmo fare se avessimo iniziato questa crisi con un debito pubblico più basso e se non avessimo un’assoluta necessità del sostegno europeo per uscirne. Ma non possiamo cambiare il passato, purtroppo.

Cosa accadrà una volta approvato il piano? Come ho detto, i paesi dovranno presentare programmi dettagliati per indicare come verranno utilizzate le risorse. Il nostro governo dovrebbe muoversi rapidamente presentando già a settembre-ottobre una bozza di programma, in modo tale da anticipare il più possibile l’erogazione dei fondi. Poi ci sarà l’implementazione. Il meccanismo innovativo di erogazione dei finanziamenti in base ai progressi nell’attuazione del programma è potenzialmente valido, ma sarà una possibile fonte di tensioni tra l’Italia e l’Europa, tensioni che si potrebbero estendere a tutto il prossimo quadriennio e che, probabilmente, coinvolgerebbero più di un governo italiano. Qualcosa mi dice che non si tratterà di una relazione particolarmente facile…    

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