Università Cattolica del Sacro Cuore

Pubblica amministrazione, riforma a metà, ora servono le pagelle per i dipendenti

di Carlo Cottarelli

La Stampa, 9 giugno 2021

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La riforma della pubblica amministrazione è un elemento fondamentale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Dal successo di questa riforma dipenderà la possibilità per lo stato di muoversi rapidamente nelle cose che deve fare direttamente (per esempio gli investimenti pubblici, la pubblica istruzione, la sanità) e di facilitare, invece che intralciare, quello che il settore privato deve fare (gli investimenti privati, l’attività d’impresa). Il PNRR contiene tante buone cose in proposito, ma è debole in un aspetto cruciale, purtroppo finora poco discusso, quello della gestione delle risorse disponibili. Vi spiego l’importanza di questo aspetto con un esempio.

Pensiamo a una azienda che produce servizi di scarsa qualità e troppo lentamente. Arriva un nuovo gestore e capisce che occorre intervenire. Per cominciare, assume nuovo personale, più giovane, con migliori conoscenze tecniche. I vecchi dipendenti non li può licenziare, ma almeno aiuteranno, per quel che possono i nuovi, anche perché, in totale, forse, un po’ più di forza lavoro è necessaria per rilanciare l’azienda. Poi il nuovo gestore digitalizza le attività: i vecchi server vengono sostituiti, tutto va in cloud, eccetera. Infine, il nuovo gestore semplifica le procedure: dove servivano dieci autorizzazioni da dieci diversi uffici dell’azienda, ora ne serve solo uno. Certo, qualcuno si lamenterà che prima c’erano più controlli contro abusi di diverso genere. Ma la priorità ora è di muoversi rapidamente. Ecco fatto. L’azienda è riformata. I risultati però tardano a venire. C’è qualche miglioramento, ma ancora le cose non vanno come dovrebbero. Cos’è che ancora manca? Di cosa si è dimenticato il gestore? Si è dimenticato che le risorse disponibili all’azienda devono essere gestite in modo appropriato. Si è dimenticato che i vari uffici dell’azienda devono avere obiettivi di produzione chiari e adeguatamente ambiziosi, che la produzione degli uffici deve essere misurata, che tutta l’azienda deve avere appropriati indicatori per monitorarne gli andamenti, che la qualità del prodotto deve essere controllata, che il personale deve essere valutato e motivato, anche con premi per chi è più produttivo. Ecco: il PNRR prevede l’assunzione di nuovo personale, prevede la digitalizzazione, prevede la semplificazione, ma c’è molto poco sugli aspetti gestionali che ho citato. Si potrà dire che questo è dovuto al fatto che questi aspetti gestionali erano già stati oggetto di una riforma nel 2009 quando il ministro Brunetta, allora come ora ministro per la funzione pubblica, aveva introdotto in Italia il cosiddetto “ciclo della performance”. Tale ciclo prevede la fissazione di obiettivi, di indicatori, di premi di produzione. Il problema è che tutto questo è stato realizzato solo in modo del tutto formale: gli obiettivi non sono ambiziosi o rilevanti, gli indicatori sono mal individuati, i premi sono scarsi e distribuiti a pioggia. Questo per la mancanza di un impegno politico, da parte di tutti i governi dell’ultimo decennio, nel portare avanti la riforma. Cosa si intende fare ora per rimediare a questa situazione? Il documento principale del PNRR (270 pagine) contiene sei righe e mezza su questo tema (sulle palestre ci sono invece quasi due pagine) e si riferiscono genericamente a iniziative volte a “promuovere misurazioni delle prestazioni orientate ai risultati” e a “valorizzare il contributo offerto dai dipendenti”. Le schede tecniche (2.500 pagine) sono un po’ più dettagliate, ma non di molto. E, cosa anche più rilevante, a differenza degli interventi, per esempio, per riformare il reclutamento dei dipendenti pubblici o per la digitalizzazione, l’implementazione della riforma del “ciclo della performance” è scandita da una sola milestone fissata per fine 2024. Questa milestone prevede una vaga “implementazione di un insieme di indicatori della performance outcome-oriented” e l’inizio della redazione semestrale di un rapporto su questi indicatori. E, si sa, quello che conta per ricevere i finanziamenti europei è quello che sta nelle milestone (o nei cosiddetti target) e non le parole di contorno.

Alcuni di questi aspetti gestionali rientrano anche nei piani triennali che, sulla base del recente “decreto reclutamento”, le pubbliche amministrazioni dovranno presentare annualmente. Ma si tratta di piani omnibus che rischiano di finire in un cassetto e di non portare a un cambiamento effettivo, come è già avvenuto per il materiale che viene preparato sulla base della riforma del 2009. Quello che sarebbe stato necessario è un vero impegno politico nel dare assoluta priorità all’obiettivo di improntare la gestione della pubblica amministrazione alla misurazione della performance, alla valutazione dei risultati e al premio al merito. Se di questo non si è parlato nei media, se il governo ha preferito dare grande rilevo alle assunzioni di nuovo personale, alla digitalizzazione e alla semplificazione dei processi, piuttosto che sottolineare la necessità di gestire in modo diverso il personale, gli strumenti informatici e i processi, vuol dire che non intende dare priorità agli aspetti gestionali, certo molto più controversi anche in termini di rapporti con i sindacati. Ma senza la riforma della gestione delle risorse l’intera riforma della pubblica amministrazione resta incompleta.

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