Università Cattolica del Sacro Cuore

Come curare il debito

di Carlo Cottarelli

La Repubblica, 17 novembre 2020

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Il titolo dell’intervista rilasciata a Repubblica da David Sassoli l’11 novembre scorso conteneva un importante virgolettato: “L’Europa deve cancellare i debiti per il Covid”. In realtà Sassoli era stato più prudente sostenendo che la cancellazione del debito era semplicemente “un’ipotesi di lavoro interessante”.

Ma il tema è importante: il nostro debito pubblico arriverà a fine 2019 al 160% del Pil, superando il record raggiunto dopo la prima guerra mondiale. Pensare a misure straordinarie, come una cancellazione del debito verso le istituzioni europee, è qualcosa che, prima o poi, riemergerà nel dibattito. Insomma, non sarebbe bello, giusto e possibile ritrovarsi, finita la pandemia, nella stessa condizione in cui eravamo nel 2019, come se il Covid fosse stato dal punto di vista economico un brutto incubo? E per farlo non sarebbe sufficiente cancellare il debito pubblico accumulato nel frattempo?

La mia risposta è che per fare in modo che la Bella Addormentata si svegli più o meno nella stessa condizione di quando era stata punta dal Covid richieder sì, qualcosa di inusuale, ma non si tratta della cancellazione del debito. Serve qualcos’altro. Per capire cosa dobbiamo chiarire prima di tutto chi sta prestando soldi all’Italia.

La risposta è chiara: quasi tutto l’aumento del debito dello stato italiano nel 2020 e, probabilmente, nel 2021 è nei confronti della BCE. Il debito verso l’Unione Europea tramite il Recovery Fund e il meccanismo SURE è poca cosa in confronto, anche se crescerà nei prossimi anni. È quindi utile focalizzarci prima di tutto sul debito verso la BCE. La cancellazione di questo debito sarebbe difficilissima perché in violazione dei trattati. E’ un terreno minato. Ma la cancellazione di questo debito non è necessaria. Il debito è un problema per due motivi: primo perché di solito comporta il pagamento di interessi; secondo perché il creditore potrebbe non essere disposto a rinnovarlo alla scadenza, causando una crisi di liquidità. Nel caso dei finanziamenti dalla BCE questi problemi non sono rilevanti, tranne che in un caso. Il debito verso la BCE non costa nulla allo stato italiano, visto che gli interessi pagati dallo stato sui BTP comprati dalla BCE (il 90 per cento dei quali avviene tramite la Banca d’Italia) vengono restituiti allo stato attraverso la distribuzione dei profitti della Banca d’Italia (il 95 per cento circa dei quali va allo stato). Inoltre, la BCE continuerebbe a rinnovare i titoli in scadenza (non essendo motivata da scopi di profitto) tranne che in un caso: se una tale azione fosse necessaria per frenare un aumento eccessivo dell’inflazione, visto che la BCE è vincolata da questo compito istituzionale.

Questo ci fa capire che, a meno di un forte aumento dell’inflazione nei prossimi anni, il nostro debito detenuto dalla BCE continuerebbe a essere rinnovato: è come se non esistesse. Cancellarlo contabilmente sarebbe inutile. E se l’inflazione aumentasse? La cancellazione del debito non aiuterebbe. Supponiamo che il debito fosse stato cancellato. La BCE per frenare l’inflazione dovrebbe riassorbire gli euro stampati nel 2020 e 2021. Ma se il debito fosse stato cancellato non potrebbe riassorbire la liquidità vendendo i BTP che non ha più. Gli stati dell’area dell’euro dovrebbero allora regalare propri titoli alla BCE per consentirle di riassorbire, vendendoli, la liquidità in eccesso. Il debito riemergerebbe. Cancellare il debito iniziale è quindi non necessario se l’inflazione restasse bassa e sarebbe insufficiente se l’inflazione aumentasse. Qual è la soluzione allora? Se il problema è il potenziale inflazionistico dell’eccesso di euro stampati durante la crisi, allora la soluzione è di congelare l’eccesso di liquidità attraverso una riserva obbligatoria straordinaria. Gli euro in eccesso sono detenuti dalle banche commerciali come depositi liberi alla BCE. Se l’inflazione aumentasse, invece di riassorbire tale liquidità tramite la vendita di titoli di stato, la si congelerebbe obbligando le banche a detenerla, neutralizzandone il potenziale inflazionistico.  Lo strumento della riserva obbligatoria è caduto un po’ in disuso, anche per l’effetto di disintermediazione delle banche che potrebbe alla lunga causare. Ma, testa nell’armamentario della BCE e, di fronte alla situazione unica in cui ci troviamo, potrebbe essere eccezionalmente utilizzato. Non ci sarebbe bisogno quindi di cancellare il debito pubblico detenuto dalla BCE perché tale debito verrebbe per sempre rinnovato dalla stessa BCE.

Per quanto riguarda il debito verso le istituzioni europee il discorso è ancora più semplice. Anche questo debito è emesso a tasso zero. Il rischio che debba essere ripagato è legato alla possibilità che l’Unione Europea, che si finanzia dai mercati, debba a sua volta ripagarlo. Ma la cosa è improbabile. I titoli emessi dall’Unione Europea molto probabilmente saranno rinnovati dai mercati quando, fra 10, 20 o 30 anni giungeranno a scadenza. E l’Unione sarà quindi un grado di rinnovare i prestiti verso l’Italia.

La cancellazione del debito non è quindi necessaria. Una riserva obbligatoria per congelare la liquidità creata dagli acquisti di quel debito da parte della BCE è invece la soluzione. Il debito rimarrebbe allora come pura posta contabile e potrebbe essere escluso anche dalle definizioni rilevanti per il rispetto dei vincoli europei sui conti pubblici che, prima o poi, saranno reintrodotti. La bella addormentata si risveglierebbe con un debito, de facto, pari al 135 per cento del Pil, quello che aveva prima del Covid.

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