Università Cattolica del Sacro Cuore

L’andamento dell’occupazione pubblica italiana dal 2008

di Edoardo Frattola

17 giugno 2019

A fine 2017, l’Italia contava 3,24 milioni di dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Esistono diversi luoghi comuni riguardo l’andamento dell’occupazione pubblica in Italia. I dati mostrano che:

  • Negli ultimi nove anni, il personale della pubblica amministrazione (PA) si è ridotto del 7,5 per cento. Tuttavia, la maggior parte del calo è avvenuta nei primi quattro anni (-6,5 per cento), mentre la riduzione è stata solo dell’1,1 per cento nei cinque anni successivi, essendosi molto allentate, e ora eliminate, le regole sul turn over.
  • Non tutti i comparti si sono ridotti in eguale misura: il calo è stato più forte per gli enti pubblici non economici, le università, i ministeri e gli enti locali, dove forse esistevano maggiori eccessi di occupazione. La scuola è invece calata solo marginalmente (nonostante la riduzione del numero degli studenti), mentre altri comparti hanno mantenuto o aumentato il numero dei propri dipendenti. I tagli occupazionali, quindi, non sono stati lineari dal punto di vista settoriale. È però vero che all’interno di ogni settore non si è cercato di distinguere tra enti con eccesso di personale ed enti con carenza di personale.
  • Il blocco parziale del turn over è stato efficace nella contrazione del personale, ma ha anche contribuito a provocarne un rapido invecchiamento. Tuttavia, il blocco delle assunzioni non è certo l’unica causa dell’aumento dell’età media dei dipendenti pubblici: hanno contribuito in modo decisivo anche la generale tendenza a un invecchiamento della popolazione italiana e, dopo il 2012, la riforma Fornero.
  • L’andamento nel prossimo triennio sarà fortemente influenzato dall’introduzione di “Quota 100” e dallo sblocco del turn over al 100 per cento a partire da novembre 2019.

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Secondo il Conto Annuale dei dipendenti pubblici curato dalla Ragioneria Generale dello Stato, a fine 2017 il numero di dipendenti a tempo indeterminato della PA era pari a 3,24 milioni, a cui si devono aggiungere circa 124 mila dipendenti con contratto di lavoro flessibile (tempo determinato, lavori socialmente utili e di pubblica utilità, contratto di formazione e lavoro, interinali).[1],[2] Il comparto più significativo è quello della scuola (Figura 1), con più di un terzo del totale (34,7 per cento), seguito da sanità (19,9), regioni ed enti locali (16,2), polizia e forze armate (14,9), ministeri (4,6), università (2,9) ed altri comparti minori (6,8).[3]

Qual è stato l’andamento del personale nell’ultimo decennio? Nel 2008, la PA contava 3,44 milioni di dipendenti a tempo indeterminato. Prima di valutare le variazioni occorse in seguito, è necessario premettere che la RGS ha iniziato a includere nuovi enti nella sua rilevazione a partire dal 2011 e, soprattutto, dal 2014.[4] Per questo motivo, nella Figura 2, accanto all’andamento del totale complessivo viene mostrato anche l’andamento del totale escludendo il personale degli enti entrati nel Conto Annuale dopo il 2008. A parità di enti, tra il 2008 e il 2017 il personale è diminuito del 7,5 per cento, ovvero di 258 mila unità. Il calo è stato molto marcato fino al 2012 (-6,5 per cento), mentre nei cinque anni successivi ha rallentato significativamente (-1,1 per cento), soprattutto per l’aumento delle assunzioni nel settore della scuola (vedi sotto).

Non tutti i comparti hanno però partecipato con la stessa intensità al contenimento del personale (Figura 3). Esclusi alcuni settori minori, la classifica delle riduzioni percentuali vede al primo posto gli enti pubblici non economici (-27,6 per cento), un settore dove forse esistevano eccessi di personale. In proposito, si noti che il 60 per cento della contrazione del personale degli enti pubblici non economici (-15 mila unità) è stata ottenuta anche grazie a un riordino complessivo del comparto che ha portato alla soppressione di alcuni enti, tra cui INPDAP, IPOST, ENAM e ENPALS (le cui funzioni sono state accorpate all’interno dell’INPS) e IPSEMA (confluito nell’INAIL). Ulteriori risparmi di personale sono stati realizzati negli stessi INPS e INAIL e nell’Automobile Club d’Italia (ACI).

Seguono, tra i settori con maggiori riduzioni del personale, università (-20,8), ministeri (-18,4), regioni ed enti locali (-11,8), agenzie fiscali (-10), polizia e forze armate (-7,6) e sanità (-6,2). Alcuni settori della PA non hanno subito tagli rispetto al 2008. A questo secondo gruppo appartengono gli enti di ricerca (+20,3 per cento), i vigili del fuoco (+8,2), la magistratura (+0,1) e soprattutto la scuola (-0,5). Quest’ultimo comparto, il più ampio della PA, è stato caratterizzato da una prima fase di forte calo (-10,3 per cento tra il 2008 e il 2012) e da una seconda fase di altrettanto forte espansione (+11 per cento tra il 2012 e il 2017), influenzando in modo rilevante l’andamento del personale totale della PA decritto sopra; nel complesso, il personale del comparto scuola è diminuito di sole 5 mila unità, a fronte di un calo di circa 120 mila alunni iscritti alle scuole statali durante lo stesso periodo (dati MIUR). Se si fosse mantenuto invariato il rapporto tra dipendenti della scuola e studenti (circa 1 a 6), il comparto scolastico avrebbe dovuto scendere di 20 mila unità: un calo simile non avrebbe avuto conseguenze negative in termini di offerta di servizio per studente e avrebbe invece consentito di richiedere minori sacrifici ad altri comparti.

Le stime provvisorie per il 2018, contenute anch’esse nel Conto Annuale, confermano le tendenze appena descritte: si prevede che il 2018 si sia chiuso con una leggera riduzione del personale totale, in linea con quanto accaduto nel 2017. In particolare, scuola e sanità sono previste in lieve aumento (nell’ordine dello 0,5-1 per cento rispetto all’anno precedente), mentre altri comparti hanno proseguito nel loro trend discendente (enti locali, ministeri, polizia e forze armate, enti pubblici non economici, agenzie fiscali).

Il blocco del turn over

La contrazione del numero di dipendenti pubblici registrata nell’ultimo decennio (e in particolare tra il 2008 e il 2012) è stata, in buona parte, ottenuta grazie al blocco parziale del turn over, ovvero la normativa che ha impedito ad alcune amministrazioni di sostituire integralmente con nuove assunzioni il proprio personale andato in pensione durante l’anno precedente.

Alcuni comparti (polizia, forze armate, vigili del fuoco e scuola) sono stati però esentati dal blocco, o comunque sottoposti a speciali normative meno stringenti. Per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, invece, a partire dal 2007 è stato disposto soltanto che le spese per il personale non possano eccedere il corrispondente ammontare del 2004 diminuito dell’1,4 per cento.

Ad essere colpiti da un blocco del turn over vero e proprio sono stati gli altri principali comparti della PA, in particolare i ministeri, gli enti pubblici non economici e le amministrazioni locali. La Figura 4 riassume gli effetti dei vari interventi legislativi che si sono succeduti negli anni, mostrando le percentuali massime di rimpiazzo dei dipendenti cessati per le amministrazioni centrali e per le regioni e gli enti locali (esclusi i piccoli comuni). A partire dal 2008, la percentuale di turn over è oscillata tra il 10 e il 40 per cento per le amministrazioni centrali e tra il 20 e il 60 per cento per quelle locali.

Tuttavia, un elemento ha allentato il blocco del turn over dal 2014. In seguito al decreto legge 90/2014, infatti, la percentuale massima di turn over è stata applicata non anche al numero di lavoratori cessati nell’anno precedente, bensì solo al risparmio di spesa derivante dai pensionamenti: dato che il personale che va in pensione riceve solitamente una retribuzione più alta di quello che viene assunto, legando il turn over solo alla spesa è stato possibile assumere più personale di quanto sarebbe stato consentito applicando il vincolo anche al numero dei dipendenti. Questo allentamento dei vincoli sul turn over, combinato con l’aumento dei dipendenti della scuola e con la modifica delle regole di accesso alla pensione (legge Fornero), è alla base della minore riduzione di personale pubblico registrata negli ultimi anni.

L’effetto sull’età media del personale

Se è vero che il blocco (parziale) del turn over è stato efficace nel ridurre il numero di dipendenti pubblici, è opinione comune che questa normativa abbia anche avuto come effetto collaterale una forte accelerazione nell’invecchiamento del personale. Tra il 2008 e il 2017 l’età media dei dipendenti della PA è infatti aumentata di 3,8 anni, passando da 46,8 a 50,6 anni.

Ma in che misura questo aumento è stato effettivamente causato dal blocco del turn over? Altri due fattori possono aver giocato un ruolo importante in tal senso. In primo luogo, l’età media dell’intera popolazione italiana ha continuato a crescere nello scorso decennio, da 43,1 anni nel 2008 a 44,9 anni nel 2017 (+1,8 anni, dati Istat): al netto di questa dinamica demografica, l’invecchiamento della PA si ridurrebbe quindi a soli 2 anni. Inoltre, dato che l’età media dei dipendenti pubblici è aumentata in modo costante in tutto il decennio mentre il blocco del turn over è stato allentato negli ultimi anni, è verosimile che l’introduzione della legge Fornero sia il principale responsabile dell’invecchiamento nella seconda parte del periodo.

A conferma di ciò, la Tavola 1 mostra l’andamento dell’età media nei principali settori della PA. Se da un lato l’aumento è stato particolarmente significativo in quei comparti che sono stati sottoposti al blocco delle assunzioni (enti pubblici non economici, ministeri, regioni ed enti locali), dall’altro si può notare come un invecchiamento superiore ai 3 anni si sia registrato anche in settori esenti dal blocco del turn over. Nel caso della scuola, per esempio, l’età media è oscillata attorno ai 49-49,5 anni fino al 2011, per poi crescere in modo rilevante dal 2012 in avanti, a riprova del ruolo giocato dalla riforma Fornero (entrata in vigore proprio nel 2012). Va segnalato infine che l’unico settore ad essere ringiovanito è, non si sa sulla base di quale logica, il corpo diplomatico (-1,4 anni).

Ma come si posiziona l’Italia rispetto agli altri paesi avanzati in termini di età dei dipendenti pubblici? Alcuni dati OCSE del 2015 consentono un confronto internazionale, anche se limitato ai soli dipendenti delle amministrazioni centrali.[5] In questa particolare classifica, l’Italia è il paese con la più alta quota di dipendenti over 55, pari al 45,4 per cento contro una media OCSE del 24,3 per cento; Germania, Francia e Regno Unito sono invece in linea con la media. Specularmente, l’Italia è ultima in classifica per quota di dipendenti pubblici under 35, pari appena al 2,2 per cento del totale (contro una media OCSE del 18). Come detto in precedenza, questo risultato è senz’altro dovuto anche alla particolare conformazione della popolazione italiana, più vecchia rispetto a quella degli altri paesi avanzati.[6] Tuttavia, se si confronta la quota di dipendenti pubblici over 55 con la percentuale di occupati totali over 55 (in qualunque settore, pubblico e privato), l’Italia è ancora in cima alla classifica presentando lo squilibrio più ampio: se, come abbiamo visto, i dipendenti over 55 delle amministrazioni centrali sono pari al 45,4 per cento, gli occupati totali appartenenti alla stessa fascia d’età sono soltanto il 18,7 per cento; la differenza tra le due quote è quindi pari al 26,7 per cento, il valore più alto tra i paesi OCSE (Figura 5).

Cosa aspettarsi per il prossimo triennio?

L’andamento dell’occupazione pubblica nel triennio 2019-2021 sarà condizionato da due importanti cambiamenti normativi. Poiché queste due novità spingono in direzioni opposte, l’effetto complessivo sul numero di dipendenti pubblici è incerto. Da un lato, l’introduzione di “Quota 100” faciliterà l’accesso alla pensione anche per i dipendenti pubblici (anche se solo dall’1 agosto 2019): le ultime stime fornite dal ministro Bongiorno parlano di 250 mila uscite previste solo per il 2019, di cui 100 mila dovute proprio a “Quota 100”.[7] Dall’altro lato, il 2019 segna anche la fine, seppur ritardata, del blocco del turn over: dal 15 novembre prossimo la percentuale di rimpiazzo viene riportata al 100 per cento, per cui le amministrazioni pubbliche potranno reinvestire sui nuovi assunti ciò che risparmiano con i pensionamenti.[8] In aggiunta, nel testo del D.L. 34/2019 (Decreto crescita) è previsto che le regioni a statuto ordinario e gli enti locali possano effettuare un turn over superiore al 100 per cento, entro una soglia di spesa che verrà definita nei prossimi mesi. Per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, invece, con il D.L. 35/2019 (Decreto sanità) viene superato il tetto di spesa introdotto dal 2007: gli enti della sanità potranno registrare spese per il personale pari a quelle del 2018, aumentate ogni anno di un importo pari al 5 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente. Se è difficile che lo sblocco del turn over possa generare effetti rilevanti già nel 2019, non è da escludere che a partire dal 2020 il numero di dipendenti pubblici torni a crescere.

Sul fronte dell’età media del personale, questi provvedimenti potrebbero portare a una leggera inversione di tendenza rispetto al progressivo invecchiamento dell’ultimo decennio, ma è difficile che il solo sblocco del turn over (a parità di spesa) consenta di ridurre sensibilmente gli attuali valori dell’età media: secondo stime della RGS, infatti, per ridurre di un anno l’età media in ogni comparto della PA occorrerebbe assumere in via straordinaria 205 mila giovani, per una spesa complessiva pari a 9,7 miliardi, mentre gli stanziamenti per le assunzioni straordinarie previsti dall’ultima Legge di Bilancio ammontano a soli 870 milioni per il triennio 2019-2021.[9]

 

[1] Tutti i dati del Conto Annuale sono disponibili al link: https://www.contoannuale.mef.gov.it/

[2] Il numero di dipendenti con contratto di lavoro flessibile è pari non al numero di individui in servizio al 31 dicembre, ma al numero di unità di lavoro annue (per cui un dipendente impiegato per sei mesi conta come 0,5 unità annue). È importante ricordare che le cifre riportate non includono i dipendenti delle imprese a partecipazione pubblica, pari a circa 350 mila unità (dati 2016, Rapporto sulle partecipazioni delle Amministrazioni Pubbliche, Dipartimento del Tesoro).

[3] Nella voce “Altri comparti” rientra il personale di numerosi enti di minori dimensioni, tra cui le agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), gli enti pubblici non economici (INPS, INAIL, Automobile Club d’Italia), i vigili del fuoco, gli enti di ricerca, la magistratura, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il corpo diplomatico.

[4] Dal 2011 vengono inclusi nel totale anche i dipendenti della Regione Sicilia, dell’Ente Foreste Sardegna e dell’ex Ipab di Trento, mentre dal 2014 sono considerati anche Anas, Consip, autorità portuali, fondazioni e consorzi vari.

[5] OCSE, Government at a Glance (2017).

[6] In base agli ultimi dati delle Nazioni Unite, nel 2015 soltanto la popolazione del Giappone (46,3) aveva un’età mediana più elevata di quella dell’Italia (45,9).

[7] Sono esclusi dal regime di “Quota 100” le forze armate, la polizia e i vigili del fuoco, per i quali continuano ad applicarsi i requisiti previdenziali più favorevoli previsti nel D.lgs. 165/97.

[8] Lo sblocco completo del turn over è posticipato al 15 novembre 2019 per la Presidenza del Consiglio, i ministeri, gli enti pubblici non economici e le agenzie fiscali e all’1 dicembre 2019 per le università.

[9] RGS, La distribuzione per classi di età e andamento dell’età media nel periodo 2001-2017. Le stime sono fatte assumendo che le nuove unità da inserire abbiano un’età media di 35 anni.

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