Come confermato dagli ultimi dati NATO, nel 2025 la spesa per la difesa in Italia è prevista raggiungere il 2% del Pil, con un aumento del 38,5% rispetto al 2024 quando era all’1,5%. Degli 0,5 punti percentuali di aumento, 0,1 sarebbero dovuti a un’effettiva maggior spesa, mentre 0,4 rifletterebbero una riclassificazione di altre spese, tra cui quelle per Guardia di finanza, Capitanerie di Porto, spazio e cybersicurezza. Non è chiaro, né dalle parole del Ministro né nei documenti ufficiali, in cosa consista questa riclassificazione: spese già presenti hanno ora una connotazione “più militare” del passato, oppure ci si è resi conto che certe spese sono più militari di quanto considerato in passato? Inoltre, non è noto quali spese esattamente siano state interessate. Sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza per sapere se dovremmo sentirci più sicuri: (i) di quanto eravamo nel 2024 (nel caso di un vero aumento del focus militare di certe spese); o (ii) di quanto pensavamo di esserlo nel 2025 (nel caso si sia compreso che il focus militare era già presente anche se non ne eravamo consapevoli). Fra l’altro, l’Italia non ha rivisto la definizione nazionale di spesa per la difesa (quella contenuta nel “Documento Programmatico Pluriennale” del Ministero della Difesa), che mostra solo un modesto aumento nel 2025: per sapere quante risorse dedichiamo alla nostra sicurezza, a quale definizione di spesa dovremmo affidarci, quella NATO o quella nazionale? Se ci può consolare, altri Paesi dovrebbero porsi queste stesse domande: i dati NATO suggeriscono infatti che l’Italia potrebbe non essere l’unica ad aver riclassificato spese per arrivare al 2%, ora raggiunto da tutti i Paesi dell’Alleanza.
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Al vertice NATO dell’Aia del 24-25 giugno scorso è stato fissato un nuovo obiettivo di spesa militare per tutti i Paesi membri (5% del Pil), da raggiungere entro il 2035: il 3,5% è costituito da spesa corrispondente alla classica definizione NATO; l’1,5% è invece una nuova componente, che comprende spese accessorie “relative a difesa e sicurezza”.[1]
Riguardo alla spesa “classica”, l’Italia ha comunicato in tale vertice il raggiungimento del 2% del Pil, vecchio target fissato dall’Alleanza nel 2014 e ora considerato un livello minimo di partenza.[2] Il dato è stato confermato da una pubblicazione NATO del 22 ottobre: l’Italia chiuderà il 2025 con una spesa di 45,3 miliardi, un aumento del 38,5% dai 32,7 miliardi (1,5% del Pil) del 2024.[3] Si tratta di un’effettiva maggior spesa o di una riclassificazione di altre voci?
La classificazione italiana e quella NATO
La definizione NATO di spesa per la difesa differisce da quella dei singoli Stati nazionali. La definizione italiana, quella del “Bilancio Integrato della Difesa”, comprende la spesa in personale, esercizio ed armamenti e gli stanziamenti in difesa dagli altri Ministeri e dal PNRR. In questa definizione la spesa è stata di 35,5 miliardi nel 2025, in crescita di 3,2 miliardi (9,8%) dal 2024.
Passare alla definizione NATO richiedeva in passato di sottrarre le spese per i Carabinieri (in quanto legate soprattutto allo svolgimento di funzioni di polizia), tranne quelli impegnati nelle missioni di pace all’estero, e aggiungere le pensioni di personale militare e civile della Difesa, sempre escludendo i Carabinieri. In base a questo calcolo, la spesa da definizione NATO risultava inferiore a quella nazionale (essenzialmente per l’esclusione della maggior parte delle spese per i Carabinieri), tranne che per il periodo 2020-24 (Fig. 1).[4]

Nel 2025, però, la procedura per il passaggio dalla spesa nella definizione italiana a quella NATO è variata: quest’anno per ottenere la definizione NATO sono state aggiunte all’aggregato nazionale anche altre due voci, come riportato dal “Documento programmatico pluriennale” del Ministero della Difesa: (i) il “budget per contesti, domini e settori a cui è stato attribuito un focus più militare”; (ii) i “progetti di cooperazione militare (Military Mobility)”.[5] In questa nuova definizione la nostra spesa è salita a 45,3 miliardi (2% del Pil).
Il documento non fornisce dettagli su contenuto e importo delle due voci aggiunte. Il Ministro Crosetto, in audizione parlamentare, ha così commentato il raggiungimento del 2%: “Questo risultato è stato possibile in linea con tutti i criteri NATO aumentando il focus militare su forza, capacità e ambiti che finora non avevamo calcolato - quindi Guardia di finanza, Capitanerie, spazio e cyber - come già facevano e fanno altri Paesi”.[6] Questa frase non è chiarissima: cosa significa “aumentando il focus militare”? Vuol dire, per esempio, che certe allocazioni di spesa già precedenti nel bilancio della Guardia di Finanza hanno ora una connotazione più militare del passato? Oppure è semplicemente una realizzazione che certe spese erano più militari di quanto considerato in passato? La frase “che finora non avevamo calcolato” e il riferimento a quello che fanno altri Paesi farebbe propendere per la seconda interpretazione, ma allora sarebbe stato necessario rivedere anche la serie storica dei dati comunicati alla NATO, cosa che non è stata fatta.
A novembre 2024 lo stesso Crosetto aveva indicato che, visti gli stanziamenti della legge di Bilancio, la spesa militare da definizione NATO sarebbe stata dell’1,57% del Pil nel 2025. Sembrerebbe, quindi, che dell’aumento dall’1,5% del Pil del 2024 al 2% del 2025, solo uno 0,1% sia dovuto a effettiva maggiore spesa e il resto a una riclassificazione.
Sia come sia, in una materia di così grave importanza, una maggiore chiarezza sarebbe stata auspicabile. Insomma, possiamo sentirci più sicuri di quanto eravamo ora che la spesa militare è valutata al 2%? Perché? Cosa è stato considerato effettivamente come coerente con un maggior focus militare? E perché non è stata rivista la serie storica se si tratta solo di una riclassificazione e non di nuove spese? Fra l’altro, la differenza tra definizione nazionale e definizione NATO non è mai stata così ampia quanto nel 2025: a quale definizione dovrebbero fare riferimento i cittadini per valutare quante risorse dedichiamo alla difesa da attacchi dall’esterno? Per ora non è possibile rispondere a queste domande.
La spesa militare nei Paesi NATO nel 2025
La citata pubblicazione NATO del 22 ottobre consente di fare il punto sulla spesa per la difesa e la sua composizione per i Paesi dell’Alleanza.[7]
Nel 2025 tutti i Paesi NATO spenderanno almeno il 2% del Pil in difesa (Fig.2). Nel 2024 13 Paesi spendevano meno del 2%. Hanno ora raggiunto il traguardo Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Italia, Lussemburgo, Montenegro, Macedonia del Nord, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

L’obiettivo del 3,5% è ancora lontano: solo Polonia, Lituania e Lettonia superano tale soglia, mentre Estonia, Norvegia, USA e Danimarca stanno sopra al 3%. La spesa totale dei Paesi NATO è del 2,8%, in crescita dal 2,6% del 2024. L’aumento è interamente dovuto a Europa e Canada, che salgono dal 2% al 2,3%, mentre la spesa statunitense, che pesa molto sul totale, rimane stabile al 3,2%. Gli aumenti maggiori, in rapporto al Pil, sono quelli di Norvegia (dal 2,3% al 3,4%), Lituania (dal 3,1% al 4%) e Polonia (dal 3,8% al 4,5%).
La spesa in chiave NATO è divisa in quattro categorie: armamenti (e ricerca dedicata ad essi; questa voce vale il 30% della spesa complessiva NATO), personale (stipendi e pensioni di militari e civili; 29%), infrastrutture (3%), altro (38%); quest’ultima sezione ha un peso elevato perché comprende tante voci, come la spesa per operazioni e manutenzione (tra cui munizioni, carburante e pezzi di ricambio), la spesa per ricerca e sviluppo non dedicata agli armamenti e la spesa non allocata nelle altre categorie.[8]
Per capire dove si è concentrato l’aumento di spesa del 2025, consideriamo solo Europa e Canada, dato che la spesa USA è rimasta costante: gli 0,28 punti percentuali di aumento sono all’incirca equamente divisi tra armamenti (0,14 p.p.) e “altro” (0,13).
Per quanto riguarda l’Italia, i 12,6 miliardi (0,5 punti di Pil) di maggior spesa del 2025 sono riferibili principalmente alla sezione “altro” (7,8 miliardi, lo 0,3% del Pil), e in misura minore agli armamenti (4,6 miliardi, lo 0,2% del Pil). È ragionevole ipotizzare che la riclassificazione sia finita principalmente nella sezione “altro”, ma in parte anche negli armamenti: per esempio le Capitanerie di Porto dispongono di navi, e la Guardia di Finanza di veicoli, entrambi inclusi in tale voce. Le altre voci non variano molto rispetto al 2024: la spesa per il personale sale di 300 milioni; quella per infrastrutture scende di 100 milioni (Tav. 1).

Sempre per l’Italia, nonostante la citata riclassificazione, la spesa più rilevante è ancora il personale (43% della spesa), in forte calo però dal 58% del 2024; quest’ultimo dato già segnava un calo rispetto al periodo precedente (2014-2023), quando in media la quota era del 68%. L’Italia non è più lo Stato con la maggiore quota di spesa per il personale, ma risulta ancora sesto su 31 Paesi.[9]
La voce “altro” ora rappresenta il 30% delle spese militari italiane (Fig. 3); tale quota è stata in media del 12% negli anni precedenti. Sale la quota degli armamenti (dal 22% al 26%), scende quella delle infrastrutture (dal 3% al 2%).

In media per i Paesi che hanno raggiunto il 2% quest’anno, la sezione “altro” vale il 60% dell’aumento (63% per l’Italia). Questo suggerisce che l’Italia potrebbe non essere l’unica ad aver riclassificato altre spese per raggiungere la soglia: guardando ai singoli Paesi, in Belgio e Slovenia l’aumento di 0,7 punti percentuali è attribuito rispettivamente per 0,6 e 0,5 punti alla categoria “altro”. Sono simili all’Italia anche Spagna e Canada, dove poco più di metà dell’aumento è dovuto alla voce “altro”.
[1] Vedi Official text: The Hague Summit Declaration issued by NATO Heads of State and Government, NATO, 25 giugno 2025. La NATO definisce spesa in difesa “I pagamenti effettuati da un governo nazionale specificamente destinati a soddisfare le esigenze delle proprie forze armate, di quelle degli Alleati o dell’Alleanza nel suo complesso. Una parte rilevante della spesa per la difesa è costituita dai pagamenti a favore delle Forze Armate finanziate attraverso il bilancio del Ministero della Difesa (MoD). Le Forze Armate comprendono le componenti terrestre, marittima e aerea, nonché le formazioni congiunte come l’amministrazione e il comando, le forze per operazioni speciali, il servizio sanitario, il comando logistico, il comando spaziale, il comando cibernetico e altri. Possono inoltre includere anche “altre forze”, come truppe del Ministero dell’Interno, forze di polizia nazionali, gendarmeria, carabinieri, guardia costiera, ecc. In tali casi, la spesa è inclusa solo nella misura in cui tali forze siano addestrate secondo tattiche militari, siano equipaggiate come una forza militare, possano operare sotto autorità militare diretta in operazioni dispiegate e possano, in modo realistico, essere impiegate fuori dal territorio nazionale a supporto di una forza militare. Inoltre, la spesa per “altre forze” finanziata tramite i bilanci di ministeri diversi dal Ministero della Difesa è comunque inclusa nella spesa per la difesa. I pagamenti pensionistici effettuati direttamente dal governo a favore di personale militare e civile in pensione appartenente ai dipartimenti della difesa sono inclusi, indipendentemente dal fatto che tali pagamenti provengano dal bilancio del Ministero della Difesa o da altri ministeri. Sono incluse nella spesa per la difesa anche le spese per operazioni di mantenimento della pace e umanitarie (finanziate dal Ministero della Difesa o da altri ministeri), la distruzione di armi, equipaggiamenti e munizioni, i contributi ai fondi fiduciari gestiti dalla NATO e i costi connessi alle ispezioni e al controllo della distruzione di equipaggiamenti. Le spese per ricerca e sviluppo (R&S) sono incluse nella spesa per la difesa e comprendono anche i costi dei progetti che non conducono con successo alla produzione di equipaggiamenti. Sono comprese anche le spese relative alla componente militare di attività miste civile-militare, ma solo quando tale componente militare può essere specificamente contabilizzata o stimata. La spesa per le infrastrutture comuni della NATO è inclusa nel totale della spesa per la difesa di ciascun Alleato solo nella misura del contributo netto fornito da quel Paese. Sono invece escluse dalla definizione NATO di spesa per la difesa le spese per i danni di guerra e quelle per la difesa civile”. Vedi NATO, "Defence Expenditure of NATO Countries (2014-2025)", 22 ottobre 2025, pag. 16.
[2] Ciò è lasciato intendere da un comunicato della NATO (“Defence expenditures and NATO’s 5% commitment”, 27 agosto 2025), dove si legge che “nel 2025 tutti gli Alleati dovrebbero raggiungere o superare l’obiettivo fissato prima del vertice, investendo almeno il 2% del Pil nella difesa, rispetto ai soli tre Paesi che vi riuscivano nel 2014”. Intervenuto sull’obiettivo raggiunto, il Ministro Crosetto ha dichiarato: “Sappiamo benissimo che questo è un punto di partenza”. Vedi ANSA, “Crosetto, raggiunto 2% per Difesa, risultato importante”, 15 maggio 2025.
[3] Vedi NATO, "Defence Expenditure of NATO Countries (2014-2025)", 22 ottobre 2025.
[4] Per un approfondimento storico sulla spesa militare italiana, vedi la nostra precedente nota “Vertice NATO: la spesa per la difesa italiana ritorna al 1954”, 26 giugno 2025.
[5] Vedi Ministero della Difesa, "Documento programmatico pluriennale - 2025-27", 7 ottobre 2025, pag. 95. Deduciamo che l’aumento sia dovuto a tali voci dato che queste non erano presenti nelle precedenti edizioni del documento: vedi, per esempio, "Documento programmatico pluriennale - 2024-26", ottobre 2024, pag. 46.
[6] Vedi il resoconto stenografico dell’Audizione dei Ministri Crosetto e Tajani sul vertice NATO dell’Aia, 3 luglio 2025, pag. 22. Tale documento è una bozza: le affermazioni poco chiare potrebbero essere riviste e puntualizzate nella versione definitiva, che però non è disponibile.
[7] Nella pubblicazione sono contenuti i dati aggiornati al 2025 per tutti i Paesi tranne la Germania. Per calcolare la spesa complessiva della NATO la pubblicazione assume che la spesa della Germania sia pari al 2% del Pil.
[8] Riportiamo di seguito la traduzione in italiano del contenuto delle categorie, come mostrato a pag. 17 del rapporto citato in nota 3. Gli armamenti (“equipment” nel testo originale) consistono di: Sistemi missilistici; Missili (armi convenzionali); Armi nucleari; Aerei; Artiglieria; Veicoli da combattimento; Equipaggiamento ingegneristico; Armi e armi leggere; Veicoli da trasporto; Navi e natanti da porto; Equipaggiamento elettronico e di comunicazione; Ricerca e Sviluppo (R&S) dedicata agli armamenti. Il personale consiste di Stipendi e indennità (Pay and allowances) di personale militare e civile; Contributi del datore di lavoro ai fondi pensione di personale militare e civile; Pensioni versate ai militari in pensione; Pensioni versate ai dipendenti civili in pensione. Le infrastrutture consistono di Costruzione militare nazionale (National military construction); Infrastrutture comuni NATO (NATO common infrastructure). Altro consiste di Munizioni ed esplosivi (esclusi quelli nucleari); Prodotti petroliferi; Pezzi di ricambio; Altro equipaggiamento e forniture; Affitti; Altre operazioni e manutenzione; Ricerca e sviluppo non dedicata agli armamenti; Altre spese.
[9] In realtà i Paesi NATO sono 32, ma l’Islanda non ha forze armate e quindi non viene conteggiata nelle statistiche. Superano l’Italia Grecia (58,4%), Croazia (54,3%), Bulgaria (52,8%), Romania (45,3%), Montenegro (44,4%). Per un approfondimento, vedi la nostra precedente nota “La spesa per il personale della difesa”, 22 luglio 2025.