Università Cattolica del Sacro Cuore

Cosa vuole davvero l’Italia?

di Carlo Cottarelli

Frankfurter Allgemeine Zeitung, 18 maggio 2020

* Il testo riportato qui sotto è la traduzione in italiano dell'articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung il 18 maggio 2020. Per il PDF dell'articolo in tedesco, si veda il box "Leggi l'articolo in lingua originale".

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Ho letto con grande interesse l’articolo di Tobias Piller su “Quello che può fare l’Italia”. L’articolo sostiene che “L’Italia pretende di ricevere molti soldi … in ogni caso, non come credito, ma come contributo che non deve essere restituito”. Certo, c’è in Italia chi la pensa così, ma non mi sembra che questa sia la posizione del mio paese in generale, né del governo italiano in particolare. Il governo italiano, e quelli degli altri paesi dell’UE, compreso il governo tedesco, hanno concordato di raccogliere risorse dai mercati finanziari per sostenere iniziative comuni volte a combattere gli effetti sanitari ed economici della pandemia del Coronavirus. Queste iniziative comprendono il meccanismo SURE per finanziare le casse integrazione dei vari paesi, il MES per finanziare spese direttamente o indirettamente legate all’emergenza sanitaria, i prestiti BEI per finanziare le imprese. A questi si aggiungerebbero poi le risorse raccolte dal Recovery Fund, ancora da definire.

Tre cose vanno sottolineate rispetto a queste iniziative. Primo, i fondi raccolti andranno spesi per scopi ben precisi. Non c’è quindi la possibilità che le risorse vadano a esaudire qualunque desiderio dei politici locali. Secondo, si tratta prevalentemente di prestiti, non di contributi a fondo perduto. Questo vale per lo SURE, per il MES, per i prestiti BEI. Non sappiamo ancora in che misura le risorse del Recovery Fund saranno erogate come prestiti o contributi. Ma se anche fossero in parte contributi, nei prossimi anni i paesi europei dovrebbero comunque effettuare trasferimenti verso l’UE, visto che l’UE non ha rilevanti fonti autonome di tassazione. Quindi se anche l’Italia ricevesse contributi, dovrebbe poi comunque effettuare in futuro versamenti all’Europa, presumibilmente in proporzione al proprio Pil. Terzo, in nessuno di questi casi si tratta di una mutualizzazione del debito passato. È giusto così: ognuno deve essere responsabile del proprio debito. Le iniziative sopra descritte comportano invece qualcosa di ben diverso: si tratta di risorse che vanno a finanziare future politiche per investimenti produttivi decise in comune ed è per questo che sono finanziate in comune.

Si tratta di “solidarietà”? Si, ma solo in piccola parte. Quale sarebbe il costo per la Germania di tale solidarietà? Le agenzie europee che dovrebbero reperire risorse per finanziare le iniziative sopracitate si finanziano a tassi di interesse di pochi decimi di punto superiori a quelli della Germania. L’eventuale costo per la Germania di finanziare in comune queste iniziative, se volesse essa stessa beneficiare dei prestiti, sarebbe quindi limitato al pagamento di un tasso di interesse leggermente superiore a quello cui potrebbe prendere a prestito se si finanziasse da sola. E se non prendesse a prestito, ci sarebbe solo il potenziale rischio della garanzia fornita sui prestiti. Ma tale garanzia sarebbe solo per la quota della Germania. Ed il rischio sarebbe in ogni caso basso, almeno secondo le agenzie di rating e i mercati finanziari. Se si tratta di solidarietà, non è certo molto costosa!

Per quanto riguarda gli acquisti di titoli da parte della BCE, si tratta di decisioni di politica monetaria prese indipendentemente da quest’ultima. Non ci può essere nessuna richiesta del governo italiano in proposito. Tali acquisti sono ora intrapresi perché l’inflazione è troppo bassa e non sono quindi una fonte permanente di finanziamento. Si tratta in ogni caso di prestiti, non di contributi. Infine, visto che gli acquisti sono intrapresi dalle banche nazionali (per esempio, è la Banca d’Italia che acquista i titoli italiani), un eventuale rischio di mancato rimborso è sostenuto dalle stesse banche nazionali.

Concludo con due considerazioni. Primo, deficit pubblici della dimensione necessaria in questo momento in Italia come in Germania, devono essere visti come eccezionali. Misure eccezionali sono necessarie in momenti eccezionali e non devono diventare “la nuova normalità”. Come tali devono essere viste anche le forme di finanziamento sopra indicate, che, in effetti, sono strettamente limitate dal punto di vista temporale. Secondo, concordo pienamente con quanto Tobias Piller scrive riguardo alla necessità per l’Italia di avere “un piano di lungo termine per un “Italia 2030” con un rafforzamento dell’iniziativa imprenditoriale privata e perciò anche del potenziale di crescita.” Ho sostenuto per anni, insieme a tanti altri, la necessità per l’Italia di riforme strutturali per risollevare la crescita e ridurre il debito pubblico. Ma se l’Italia, e l’Europa, non escono da questa crisi senza troppe ossa rotte, sarà più difficile, forse impossibile, realizzare le riforme necessarie e l’Italia, e l’Europa, finiranno per perdere inevitabilmente terreno rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. È il destino dell’Europa, e non solo dei singoli paesi europei, che si decide in questi giorni.

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